"L'alterità mi sembra un tema su cui ancora la consapevolezza e la pratica quotidiana siano ancora in gran parte da costruire". Una riflessione a partire dalla poesia di Khalil Gibran accessibile anche nella versione in simboli
Ho sempre preferito considerare il titolo della poesia "I vostri figli non sono figli vostri" del poeta libanese Khalil Gibran nella variante "I vostri figli non sono solo figli vostri" per tenere insieme il tema dell'alterità che l'autore sviluppa soprattutto nella prima parte e per il tema della comunità partecipe.
L'alterità mi sembra un tema su cui ancora la consapevolezza e la pratica quotidiana siano in gran parte da costruire.
Ancora adesso continuamente sento parlare di nostri ragazzi, come si trattasse di propaggini di chi pronuncia quelle parole.
Non persone distinte, ma inglobate in un noi amorevole quanto asfissiante.
Che toglie parola.
Certo una parola che fatica a esprimersi, ma che vorrebbe poterlo fare, magari anche solo molto semplicemente.
In questo senso le prese di posizione di persone con disabilità che rompono espressamente questo cordone ombelicale aiutano a vedere e forse a ripensare.
Le parole di Stella Young (comica australiana, giornalista e attivista per i diritti della disabilità, ndr) su quella che lei chiama pornografia motivazionale (in inglese “inspirational porn”) sono molto importanti e mi permetto di proporvene l'ascolto.
Ma oltre a tutto quanto lei sottolinea riguardo la pornografica comunicazione dell'eccellenza, dell'enfasi olimpica che ci arriva copiosa in questi giorni da una Tokyo che ne avrebbe fatto a meno, c'è il tema della possibilità di espressione in contrasto con l'assistenza.
Possibilità di espressione che significa anche possibilità di sbagliare, affrontando le conseguenze.
A una persona con disabilità soprattutto intellettiva sembra essere preclusa la possibilità di bere due caffè, di bersi due bicchieri di vino, di farsi una canna.
Per il suo bene potrà invece gustare solo una tazza d'orzo, un'aranciata e assaporare il profumo dell'incenso.
Che naturalmente sono scelte legittime, se sono scelte.
L'altro tema è quello della comunità. Del fatto che l'arrivo di una persona con disabilità possa essere un arricchimento per la comunità, invece che grazia o maledizione per la sola famiglia dove quella persona nasce.
La famiglia, i genitori soprattutto e in modo esclusivo all'inizio, è investita di una grande responsabilità riguardo i figli con disabilità. E anche senza disabilità, certamente.
Ma quando sento continuare a parlare di "dopo di noi", e adesso l'espressione non meno urticante "durante noi", che vorrebbe correggere ma resta concentrata su quel noi, noi genitori, immagino i figli, le persone con disabilità la cui vita e il cui futuro è dentro quelle espressioni, ribellarsi e ribaltare il tavolo su cui tutte quelle carte imbrattate di buoni sentimenti sono sparse.
I nostri figli non sono solo figli nostri.
Ma anche delle relazioni con i compagni,
con i vicini di casa,
con i colleghi di lavoro,
con gli amici,
con la persona amata,
con le persone che non conosci, ma che incontri ogni giorno prendendo l'autobus, il treno, camminando per strada,
con la commessa del supermercato,
con il meccanico,
con il barista e gli avventori del bar,
con i bambini dell'oratorio,
con i nonni,
con le altre persone anziane,
con le maestre e maestri e poi professoresse e professori,
con tutti i dottori e operatori del contesto socio sanitario.
Con tutte le persone con cui entrano in relazione.
O vorrebbero poter entrare in relazione.
Come diceva Enrico Montobbio col suo "Chi sarei se potessi essere".
Potrei essere una persona semplice, magari anche molto semplice, ma con una mia vita, miei desideri da sperimentare in mezzo agli altri o dove scelgo di farlo. Mie fatiche e delusioni. Mie passioni.
Nel testo di Gibran c'è il simbolo di "nascere" concepito da Laura.
Che è bellissimo.
In quelle mani c'è la cura e la libertà che vorrei per me, come per ognuno, con disabilità e senza.
Antonio Bianchi,
consigliere LEDHA-Lega per i diritti delle persone con disabilità
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