La svolta legislativa

Nel giro di meno di due anni, l’approvazione prima della L.r. 25/2022[1] ed ora del D.lgs. 62 del 3 maggio 2024[2], spinge, ed in qualche modo costringe, l’intero sistema di welfare sociale a mettere in discussione le sue abituali modalità di lavoro per fare in modo che, effettivamente, siano i Progetti di vita delle persone con disabilità a regolare e definire le modalità di funzionamento dell’insieme dei suoi servizi. Un cambiamento non da poco dato che in molte situazioni, ancora oggi, avviene il contrario, ovvero che sia la vita delle persone con disabilità ad essere definita e orientata in base ai sostegni disponibili ed alla loro organizzazione.
L’obiettivo è quello di garantire ad ogni persona con disabilità il diritto a vedere riconosciuto e rispettato il diritto alla vita indipendente e all’inclusione sociale.
La sfida è ora quella di passare dalle parole ai fatti: un’opportunità ed una necessità che riguarda tutto il paese e, in particolare, la Lombardia.

Due norme che si rafforzano tra di loro

In questa fase, è opportuno interrogarsi su quanto e come queste due norme possano dialogare tra di loro e in che modo possano essere applicate nella nostra Regione.

Come è noto, il Decreto 62 definisce quanto previsto dalla Legge delega 227/21 in materia di definizione della condizione di disabilità, valutazione di base, accomodamento ragionevole, valutazione multidimensionale e budget di progetto.
La parte certamente per noi più interessante del Decreto 62 è il Capo III, dedicato alla valutazione multidimensionale e progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato: bisogna però considerare che anche le prime due parti (Capo I: finalità e definizioni generali e Capo II: procedimento valutativo di base e accomodamento ragionevole) sono destinate ad avere un grande impatto nella vita della generalità delle persone con disabilità.

È opportuno chiedersi, in via preliminare, quale relazione possa e debba esserci fra questa norma nazionale e la Legge regionale 25/22. La questione riguarda soprattutto i passaggi in cui le leggi si sovrappongono, ovvero proprio quelli relativi al “Progetto di vita”, alla valutazione multidimensionale e al Budget di progetto.
Non vi è dubbio infatti che quanto previsto dalla Legge regionale 25 rispetto all’implementazione dei centri per la vita indipendente[3], al finanziamento dell’assistenza personale autogestita e alla revisione dei criteri di accreditamento delle Unità di offerta, non essendo materia della Legge delega e del suo decreto attuativo, rimangano pienamente e completamente in vigore.

Le due norme parlano sostanzialmente la stessa lingua, dato che sono ispirate dallo stesso approccio alla disabilità basato sui diritti umani, definito dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.

Il Progetto di vita: un diritto esigibile, in particolare in Lombardia

In estrema sintesi, in entrambi i casi si prevede, quanto da lungo auspicato, ovvero che sia il “Progetto di vita” della persona con disabilità a definire l’utilizzo dell’insieme delle risorse di welfare sociale per la disabilità.
Un punto fermo riguarda la sostanziale linea di continuità tra quanto previsto da entrambe le norme e lo storico art. 14 della Legge 328/00 (che viene nell’occasione riscritto) e quindi l’individuazione del “Progetto di vita” come un diritto esigibile della persona con disabilità.

Le due norme divergono invece rispetto all’ente incaricato di elaborare il Progetto di vita: un compito che, nella Legge regionale 25 viene mantenuto in capo al Comune/Ambito, ovviamente di intesa con ASST, Centri per la vita indipendente e tutte le istituzioni coinvolte, mentre nel Decreto 62 viene affidato all’Unità di Valutazione Multidimensionale (U.V.M.).

Ma la questione, in questa fase, da rimarcare è che la Legge regionale in tema di Progetto di vita, valutazione multidimensionale e budget di progetto, è già in vigore e pienamente applicabile, dato che non richiede su questi punti alcun ulteriore intervento da parte della Giunta Regionale.
Al contrario il Decreto 62, per la sua implementazione effettiva, richiede una fase di sperimentazione (che in Lombardia riguarderà in particolare il territorio della Provincia di Brescia) e l’adozione di alcuni provvedimenti tanto dal Ministero della disabilità che dalle Regioni.
Già oggi invece, nella nostra Regione, di fronte alla richiesta di una persona con disabilità di poter elaborare il proprio Progetto di vita, il Comune e l’ambito territoriale sociale di riferimento devono attivarsi secondo quanto previsto in merito dagli articoli 5, 6 e 7 della Legge regionale 25 ed arrivare, entro 90 giorni, alla sua predisposizione.

Per quanto riguarda la descrizione della natura e degli scopi del Progetto di vita, ci troviamo di fronte a due norme sostanzialmente sovrapponibili o complementari.

Il titolare del Progetto di vita è la persona con disabilità

Il titolare del Progetto di vita è la persona con disabilità che può richiederne l’attivazione e che deve essere coinvolto attivamente alla sua definizione. Si tratta di una novità fondamentale. Ancora oggi, avviene con una certa regolarità che la persona con disabilità non venga coinvolta nella definizione dei progetti che riguardano la sua vita, anche in caso di scelte delicate e importanti come ad esempio la scelta di dove e con chi vivere. Per questo motivo, entrambe le norme ribadiscono il fatto che la partecipazione alla stesura del proprio Progetto di vita debba essere garantita a tutte le persone con disabilità, comprese a quelle che necessitano di un sostegno intensivo e quelle che sono sottoposte a provvedimenti di protezione giuridica. Il Decreto 62 dedica un articolo all’obbligo di garantire i “supporti per la manifestazione di volontà della persona con disabilità” ed un altro in cui si prevede che la persona con disabilità possa indicare una persona di fiducia che possa facilitare l’espressione delle sue scelte e la comprensione delle misure e dei sostegni attivabili.

Il Progetto di vita è un diritto di libertà, ma non è un obbligo. Il suo obiettivo è quello di realizzare gli obiettivi della persona con disabilità, in base ai suoi desideri. La parola “desideri” unisce le due norme: entrambe, prefigurano un progetto dinamico che può essere modificato nel tempo, su richiesta della persona come degli attori che hanno contribuito alla sua definizione.
L’orizzonte è inequivocabilmente quello dell’inclusione e della partecipazione alla vita sociale, come già descritto dall’art. 19 della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. La Legge regionale 25 specifica che si dovranno prevedere interventi capaci di modificare il contesto, mentre il Decreto 62 indica nel dettaglio che il Progetto di vita debba individuare i sostegni volti ad eliminare e prevenire le barriere, essere sostenibile nel tempo e rispettare l’autodeterminazione della persona con disabilità. Proprio perché si parla di Progetto di vita, è chiaro che esso debba riguardare tutti gli ambiti dell’esistenza, dall’abitare all’occupazione alla vita sociale.

Un ulteriore punto di differenza tra le due norme riguarda l’età di ingresso, che nella norma regionale è posta a 12-14 anni, mentre il decreto indica chiaramente che riguarda tutte le età; inoltre, la Legge regionale 25, al contrario del Decreto 62, supera le differenze storiche con il mondo degli anziani non autosufficienti e con quello della salute mentale, utilizzando la definizione estensiva di disabilità della Convenzione Onu.

Poter scegliere dove e con chi vivere

In tema di abitare, la Legge regionale 25 riprende nelle finalità, quanto previsto dall’art. 19 della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, ovvero che tra i diritti delle persone con disabilità, vi sia quello, senza particolari distinzioni, di poter scegliere il proprio luogo di residenza e di decidere con chi vivere. Viene poi specificato che il Progetto di vita debba tenere conto dell’ambito della casa e dell’abitazione ed infine si prevede che i servizi realizzino ambienti di vita assimilabili a quelli familiari favorendo il passaggio a condizioni ordinarie dell’abitare e la de-istituzionalizzazione. Il Decreto 62 dedica uno specifico articolo alla “Libertà di scelta sul luogo di abitazione e continuità dei sostegni”. Anche in questo caso la cornice di riferimento è quella dell’art. 19 della Convenzione Onu, ma i toni sono leggermente sfumati: si parla di tendere a favorire la libertà di scegliere dove e con chi vivere “garantendo appropriate soluzioni abitative e, ove richiesto, garantendo il diritto alla domiciliarità (…) salvo il caso dell’impossibilità di assicurare l’intensità, in termini di appropriatezza degli interventi o la qualità specialistica necessaria”. Viene specificato che le istituzioni che concorrono alla redazione del progetto di vita debbano assicurare la continuità dei sostegni e tutti gli interventi necessari per rendere accessibile il luogo di abitazione.

Rimane però non chiarito chi abbia il compito di stabilire se la persona con disabilità possa o non possa ricevere i sostegni per vivere in una casa, oppure trovare quanto necessita per vivere all’interno di servizi residenziali. E’ probabile che nella prassi questo compito venga assunto dalla U.V.M. ma non viene definito chi debba avere l’ultima parola in caso di divergenze di idee, ad esempio tra la persona e i suoi familiari, oppure gli specialisti oppure ancora all’interno della componente tecnica della stessa equipe.

In linea di massima, il riferimento legislativo regionale, nella sua semplicità, sembra indicare con maggiore chiarezza che la strada da percorrere è quella di prevedere il rispetto della volontà della persona con disabilità ed un deciso orientamento verso condizioni ordinarie dell’abitare e di deistituzionalizzazione.

Da valutato a valutatore

La composizione dell’U.V.M. che viene descritta nelle due norme è sostanzialmente sovrapponibile. Il grande cambiamento è rappresentato dal fatto che la persona con disabilità passi da soggetto valutato a primo componente dell’U.V.M.
La persona con disabilità, infatti, fa parte a pieno titolo dell’equipe insieme, se minore, dai genitori o dal tutore / amministratore di sostegno, se sottoposto a provvedimenti di protezione giuridica. L’elenco dei componenti è descritto dalla Legge regionale 25 in modo più vago, inserendo anche i familiari e comunque gli operatori dell’area sociale e quelli dell’area sociosanitaria, della scuola, degli enti gestori e infine del Centro per la vita indipendente. Il Decreto 62 è più preciso e in un elenco puntato stabilisce nel dettaglio i componenti obbligatori dell’equipe e quindi (oltre alla persona e chi la rappresenta) un operatore sociale comunale, uno o più professionisti sanitari del distretto sanitario e, quando coinvolti, anche un rappresentante della scuola, uno dei servizi per l’inserimento lavorativo e il medico di medicina generale o il pediatra. L’elenco si allunga con ulteriori figure “opzionali” come altri familiari, caregiver, rappresentanti di associazioni, enti gestori, altri medici specialisti. Alle Regioni spetta il compito, entro sei mesi, di “fare ordine” tra le diverse equipe di valutazione multidimensionali già esistenti.

Potrebbe questa essere una spinta per chiedere a Regione Lombardia di attivare, anche su questo tema, il Tavolo interdirezionale (DG Welfare e Famiglia) dedicato al Progetto di vita e alla revisione del sistema dei servizi, tenendo anche conto che la norma regionale stabilisce che la valutazione multidimensionale, effettuata ai fini della stesura del Progetto di vita, possa essere utilizzata anche per l’accesso ad altre misure.

Sempre la Legge regionale 25 affida alla U.V.M. il compito di evidenziare le condizioni e il contesto di vita, gli interessi, i bisogni, i desideri, le preferenze della persona stessa. Ancora una volta la descrizione del Decreto 62, molto simile nei contenuti, offre una descrizione di maggior dettaglio degli obiettivi e del procedimento da seguire. Anche in questo caso, il primo obiettivo dichiarato è quello di rilevare gli obiettivi della persona con disabilità secondo i suoi desideri e aspettative. Viene esplicitamente indicato come esito del processo di valutazione la definizione dei profili di funzionamento della persona nei differenti ambiti della vita. Si parla di barriere e facilitatori e di condizioni di salute.

Il problema delle responsabilità istituzionali

Come abbiamo visto, il Decreto 62 affida alla U.V.M. il compito di redigere il Progetto di vita che invece fino ad ora, ed anche nella Legge regionale 25, veniva affidato alla responsabilità del Comune. Dal punto di vista sostanziale la formulazione del Progetto di vita e del relativo Budget di progetto vedono una sostanziale convergenza delle due norme, pur con tutti i necessari distinguo di forma e di sostanza: si ripropone invece la questione della responsabilità “prima e ultima” della redazione del Progetto di vita, che la Legge regionale 25 affida con chiarezza al Comune di residenza mentre il Decreto 62 indica che sia l’U.V.M. a predisporre il Progetto di vita.
Ci sarà da verificare, in questo passaggio, se avrà prevalenza la norma nazionale, che di fatto disegna un Livello Essenziale, o la potestà legislativa regionale. Nel caso dovesse prevalere la norma nazionale, rimane da definire quale ente abbia la responsabilità di organizzare e coordinare un gruppo di lavoro così complesso ed anche quali modalità decisionali adottare, soprattutto in caso di pareri diversi e contrastanti.

Come spesso ricorre, il Decreto 62 elenca in modo maggiormente dettagliato, rispetto alla Legge regionale 25, i contenuti del progetto e le attribuzioni di competenze e responsabilità nella sua attuazione. Sempre nella norma nazionale si stabilisce la portabilità del progetto di vita (in caso ad esempio di cambio di residenza) così come si specifica che la persona con disabilità possa presentare direttamente la sua proposta di progetto di vita, che sarà vagliata dall’U.V.M.: rimane, anche in questo caso, in sospeso il problema a chi appartenga il compito e la responsabilità di avere l’ultima parola in questione. La Legge regionale 25 non indica con altrettanta chiarezza questa possibilità anche se la formulazione dell’articolo dedicato all’assistenza personale autogestita fa chiaramente riferimento a progetti di vita anch’essi autogestiti.

Non stupisce che dalla Valutazione Multidimensionale debbano anche emergere gli obiettivi da realizzare con il progetto di vita. Il Decreto 62 specifiche però che si debba partire dal censimento di eventuali piani specifici di sostegno già attivati e dai loro obiettivi. Questa aggiunta suscita qualche perplessità perché unisce fra loro due questioni molto differenti fra di loro e che potrebbero facilmente confliggere. Non è raro infatti che gli obiettivi di cambiamento della persona prevedano il cambiamento delle attività già in essere che, quindi, non dovrebbero avere un particolare peso, almeno in questa fase di lavoro.

Il Decreto 62 chiede che venga individuato il referente per l’attuazione del progetto di vita, che sembra corrispondere nella sua descrizione a quello che in questi anni è stato indicato come case manager o project manager. Dal punto di vista generale, le sue funzioni possono essere definite come quelle di assistente alla regia dell’implementazione del progetto di vita della persona con disabilità e di coordinamento degli interventi. Rimane purtroppo sul vago chi possa o debba effettivamente svolgere questo ruolo, quali enti possano esprimere questa figura e anche come sostenerne i costi. Il Decreto 62, infatti, si limita ad affidare alle Regioni il compito di disciplinare questa funzione, prevedendo che non debba comportare un incremento della spesa pubblica.

Il rischio della burocratizzazione

Nel complesso la formulazione del Decreto 62 facilita certamente la fase applicativa ma nel descrivere con maggior dettaglio gli strumenti e la procedura, aumenta il rischio di applicazione “burocratica” e non sostanziale.
Dovremo quindi non stancarci di ripetere che l’elaborazione e redazione del Progetto di vita è un processo caldo, di tipo relazionale e che non può essere generato dalla somministrazione di test o dalla semplice compilazione di moduli, per quanto ben congegnati.

 Un budget per liberare il progetto di vita

Un passaggio di grande attenzione e rilevanza è quello dedicato al Budget di progetto che entrambe le norme definiscono come l’insieme delle diverse risorse che necessarie per implementare il Progetto di vita, indicando come queste possano essere di carattere pubblico, privato e informale (familiari e della comunità). Costante appare anche il richiamo al fatto che sia il Progetto di vita a dover orientare l’utilizzo delle risorse (e non viceversa come spesso capita oggi) e che quindi si debba prevedere una sostanziale flessibilità nel loro uso come ad una possibile loro riconversione. Degno di nota il passaggio dell’art. 28, comma 9 del Decreto 62 che stabilisce come “… il budget di progetto è impiegato senza le limitazioni imposte dall’offerta dei singoli servizi …”. Una affermazione chiara e perentoria che dovrebbe permettere di liberare l’utilizzo di competenze, risorse umane, economiche e materiale che oggi appaiono bloccate dalla presenza di vincoli di utilizzo, previsti da norme di diversa natura e provenienza.

La Legge regionale 25 inserisce in elenco tutte le risorse pubbliche disponibili definendo che debbano servire per dare attuazione al progetto individuale. In uno specifico caso viene prevista in modo esplicito la possibilità di una effettiva riconversione, prevedendo che tanto le risorse regionali quanto quelle comunali destinate al sostegno delle Unità di offerta residenziali possano essere utilizzate a sostenere percorsi di uscita dei servizi.
Il Decreto 62 entra più nello specifico, indicando il budget di progetto come uno strumento flessibile, finalizzato alla ricomposizione delle risorse ma anche alla loro riconversione (seppure “eventualmente”). In un elenco di difficilissima lettura si fa esplicito riferimento alle risorse del FNA, a quelle della Legge 112/16 e del Fondo Caregiver.

Anche il Decreto 62, come la Legge regionale 25, inserisce il FNA tra le risorse ordinarie che sostengono il Budget del Progetto di vita della persona con disabilità: questa previsione dovrebbe convincere a rivedere la previsione tanto del Piano Nazionale che di quello Regionale per la Non Autosufficienza a vincolare l’uso di queste risorse per l’erogazione di servizi diretti, a scapito di quelli indiretti e dei contributi economici, superando le ragioni che hanno creato negli ultimi mesi una forte contrapposizione tra l’insieme della rete associativa lombarde e le competenti istituzioni regionali e nazionali.

Di particolare rilevanza è il passaggio in cui si specifica che il Budget di progetto comprende le risorse sanitarie e quindi, ad esempio, anche quelle che sostengono gran parte dei costi dei servizi. Il loro utilizzo viene però limitato dalla destinazione delle risorse umane, materiali, strumentali e finanziarie dell’ambito sanitario: un’affermazione che, per usare un eufemismo, non brilla per chiarezza e che apre la porta ad interpretazioni molto differenti, più o meno aperte all’innovazione o al mantenimento delle rigidità dello status quo.
Il budget di progetto deve essere composto anche dalle risorse personali, familiari e comunitarie. La Legge regionale 25 indica che le risorse personali debbano fare parte del budget mentre la disponibilità di quelle familiari dipendono dalla libera scelta delle famiglie. Il Decreto 62 lascia un ampio margine di discrezionalità anche nella messa a disposizione delle risorse della persona e nella valorizzazione delle risorse informali (che sembrano comprendere tanto quelle familiari che comunitarie). Il Decreto 62 istituisce un Fondo per l’implementazione dei progetti di vita, la cui consistenza genera una certa perplessità.

 Passaggi finali, non di poco conto

Il processo di implementazione del Decreto 62 viene accompagnato da un’attività formativa sia di carattere nazionale che regionale che, data la peculiare situazione lombarda, sarebbe opportuno avviare quanto prima.
Si prevede infine che si definiscano i Livelli Essenziali delle Prestazioni in favore delle persone con disabilità: un passaggio cruciale, tenendo conto che – ad oggi – contribuiscono al rispetto dei livelli essenziali i soli servizi tradizionali, erogati in forma diretta, e non la realizzazione dei Progetti di vita che prevedono sostegni di carattere economico, compresi quelli finalizzati ai servizi indiretti, come l’assistenza personale autogestita.

 


[1] Per approfondimenti, si rimanda ad alcuni contributi pubblicati su LombardiaSociale.it:
Plebani R., Voglio una vita … di quelle fatte così, 29 maggio 2023
Merlo G., Vita indipendente: segnali e speranze di cambiamento, 6 agosto 2023
Campese M.G. e Fazio S., Vita indipendente: prospettive e sfide per servizi e istituzioni, 12 marzo 2024
Morelli R., Una persona è una persona tramite altre persone, 23 aprile 2024
[2] Si segnala anche il contributo pubblicato su LomabrdiaSociale.it di analisi del Decreto 62, di Franchini R., Il Progetto di Vita: verso la sperimentazione, il 19 giugno 2024
[3] Con la Dgr 984 del 25.09.2023 Regione Lombardia ha adottato le prime disposizioni attuative in tema di Centri per la vita indipendente. Per approfondimenti:
Melzi A. (a cura di), Al via i Centri per la Vita indipendente, 18 ottobre 2023
Gorlani L., Linee guida Centri per la Vita Indipendente, tra luci e ombre, 3 giugno 2024