Dal 1° gennaio 2025 parte la sperimentazione del "progetto di vita", cuore della riforma della disabilità voluta dalla ministra Locatelli. Da Aisla alla Lega del Filo d'Oro, passando per gli assistenti sociali: ecco come ci stiamo preparando. Dieci voci per fare il punto, fra attese e timori
Il progetto di vita? Cambierà tutto, dicono alcuni. I servizi non sono pronti, non cambierà niente, dicono altri. Dal 1 gennaio 2025 in nove province italiane (Brescia, Catanzaro, Firenze, Forlì-Cesena, Frosinone, Perugia, Salerno, Sassari e Trieste) partirà la sperimentazione del nuovo percorso previsto dal decreto legislativo n. 62 del 2024, il «primo passo per un approccio innovativo nella presa in carico della persona con disabilità», ha detto la ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli.
La formazione del ministero nelle nove province è iniziata ma si moltiplicano anche le iniziative formative promosse dagli ordini professionali o delle organizzazioni di Terzo settore. Il fermento è molto, anche se la novità entrerà a regime in tutta Italia solo nel 2026. A quali condizioni sarà veramente una rivoluzione nei servizi e nella quotidianità delle persone con disabilità? Come non cadere nella retorica? Come non scordare, insieme alle legittime attese, il fatto che il progetto di vita è legge da più di vent’anni e che finora nessuno (o pochissimi) lo ha valorizzato nel suo essere strumento di un possibile cambiamento? Ecco otto voci sul campo, di operatori, professionisti, organizzazioni, famiglie.
1. La legge di bilancio 2025 cartina tornasole del coraggio del cambiamento
di Vincenzo Falabella, presidente Fish
La Fish, con tutte le sue organizzazioni, sta seguendo la formazione avviata dal ministero nelle nove province in cui a gennaio 2025 partirà la sperimentazione: alla formazione online stanno prendendo parte anche le organizzazioni di altri territori, perché vogliamo che la nostra rete sia formata e pronta. Da parte delle persone con disabilità c’è una grandissima aspettativa che il progetto di vita possa garantire dignità, inclusione, pari opportunità, la tanto attesa valorizzazione della persona. C’è l’aspettativa di un superamento di un welfare di protezione, basato su interventi settoriali mirati ad arginare o compensare la condizione di disabilità, per costruire un welfare di valorizzazione della persona, strumento di cittadinanza vera e propria. Nei servizi, negli enti locali, negli ambiti territoriali c’è un comprensibile timore, ma anche la forte consapevolezza che questo è il momento giusto per cambiare e che restare fermi al sistema attuale non porta da nessuna parte. Colgo una diffusa volontà di realizzare il cambiamento, sapendo che all’inizio sarà complicato ma che porterà miglioramenti significativi non solo nelle vite delle persone con disabilità ma anche nei servizi.
C’è però un tema importante da porre: quello delle risorse. Nella legge di Bilancio 2025 non ci sono risorse specifiche e quantitativamente appropriate per l’attuazione di una riforma così importante: abbiamo sollecitato un emendamento incrementi di 100 milioni il fondo per i progetti di vita, che al momento ha una dotazione di soli 25 milioni di euro annui, cifra assolutamente non congrua a realizzare le finalità dichiarate dal decreto 62/2024. Questo emendamento è stato ripreso da diversi gruppi parlamentari, speriamo venga approvato. Il tema non è che i progetti di vita costano di più, anzi: nella misura in cui il progetto di vita permette alla persona con disabilità di rimandare la presa in carico da parte della sanità, che sia con una ospedalizzazione, una rsa o una rsd, c’è un minore costo. Il punto è programmare le risorse. Questo è il cambio di paradigma: vedere tutte le spese nel sociale come investimenti e non come costi, mentre noi in Italia abbiamo ancora una spesa sanitaria di 142 miliardi nel sanitario e di soli 10 miliardi nel sociale. Ecco perché la legge di bilancio 2025 diventa il termometro della valutazione di quale sarà il vero impatto del progetto di vita, perché ci permetterà di capire qual è la direzione che vogliamo intraprendere, già da oggi. Occorre lungimiranza nel saper individuare la strada.
Un secondo tema è quello della diversità dei territori, con i piccoli centri che si spopolano, con la desertificazione dei servizi e dei sostegni di prossimità al cittadino. Tutto questo impatta sulle opportunità: se io volessi centrare il mio progetto di vita sullo sport e vivessi in un piccolo centro senza una piscina o senza una palestra, come lo concretizzo il mio progetto di vita? Non vorrei che avessimo disegnato un sistema perfetto, che però non potrà avere applicazione concreta sui territori perché l’attuale sistema non garantisce servizi e sostegni. Torniamo quindi alla necessità di una visione più ampia delle politiche sociali, che esca dalla logica dell’anno per anno e faccia programmazioni di ampio raggio.
In sintesi, il progetto di vita porterà un cambiamento perché andrà a mettere al centro la persona: la condizione di disabilità si noterà sempre meno e verranno valorizzate le idee e il protagonismo delle persone. Però sono necessarie due condizioni: risorse adeguate e un cambiamento culturale grande, che riguarda gli enti locali, i servizi, gli operatori ma anche gli stessi cittadini con disabilità, che devono capire che costruire un progetto di vita significa passare dal “tutto mi è dovuto perché sono una persona con disabilità” al “mi è dovuto questo pezzetto che è necessario per realizzare questo obiettivo”. In questo cambiamento, tutti dobbiamo metterci del nostro.
2. Il cambiamento che i servizi devono fare
di Giorgia Sordoni, presidente di Federsolidarietà Confcooperative Marche e presidente della cooperativa sociale Centro Papa Giovanni XXIII di Ancona
Oggi il DL 62 rappresenta a mio parere un’opportunità di cambiamento per i servizi, l’ultimo treno da prendere per curvare dal paradigma riabilitativo a quello bio-psicosociale (cosa che avremmo già dovuto fare). La cooperativa dove lavoro ha aperto quando ancora le persone con disabilità venivano considerate come un “qualcuno” da “aggiustare”. Non erano i soggetti della nostra pedagogia e dei nostri interventi, ma gli oggetti. Oggi abbiamo ridefinito il nostro modello: da esclusivo ad inclusivo. La nostra programmazione generale è la sommatoria dei singoli desiderata delle persone, con approccio che alcuni definiscono bottom-up o meglio person centered. In sostanza abbiamo anticipato ciò che indica il DL 62, ossia un’applicazione pratica al tema dei “desideri” dove è la persona con disabilità a scegliere: il servizio è solo una parte del progetto di vita.
Siamo e dovremmo essere sempre di più “mediatori efficaci”. Non si tratta di perdere un ruolo, ma di acquistarne un altro. In tale modello (sia diurno che residenziale) le attività hanno sede direttamente nella città (biblioteche, supermercati, piazze) che diventano un laboratorio a cielo aperto. Le persone con disabilità partecipano come cittadini: fanno volontariato civico allestendo le bacheche cittadine, recuperano piante dismesse e danno loro una seconda vita, frequentano i luoghi di tutti contaminandoli e viceversa. Oggi le mura dei servizi diventano luoghi dove la gente della città può entrare, non solo per fare volontariato, ma anche per leggere libri, mangiare, incontrarsi e presto per ritirare i loro pacchi Amazon.
3. Il cambiamento? Ha bisogno di risorse, personale, concretezza
di Rossano Bartoli, presidente Fondazione Lega del Filo d’Oro
La sperimentazione che partirà a gennaio non tocca province in cui la Lega del Filo d’Oro è presente, ma ci siamo già attivati per ragionare su cosa può significare il progetto di vita per noi che lavoriamo con persone con sordocecità e pluridisabilità psicosensoriale. Siamo partiti con l’aggiornamento e la formazione del personale, in particolare agli assistenti sociali che sono i primi interlocutori per le famiglie.
Il concetto di mettere la persona al centro e di costruire un progetto che sia un vestito cucito sulla persona, per noi, non è una novità. Alla Lega del Filo d’Oro infatti il progetto educativo-riabilitativo non è mai stato un percorso standardizzato, perché le esigenze e i bisogni delle persone che seguiamo sono profondamente diversi e perché la famiglia è molto coinvolta. Abbiamo anche sempre valorizzato il fatto che ogni persona possa essere messa in grado di esprimere le proprie preferenze, nella direzione dell’autodeterminazione. Tra chi si rivolge alla Lega del Filo d’Oro tuttavia ci sono sia persone che riescono effettivamente a prendere decisioni e a costruire un progetto di vita che sia pienamente loro, sia persone per cui il progetto di vita – pur accogliendo le preferenze delle singole persone e ricercando una maggiore possibilità di scelta – vedrà una quotidianità molto legata alla famiglia o ad una organizzazione.
Un tema rilevante per l’attuazione delle sfide tracciata dal decreto 62/2024 è quello dei sostegni che i servizi garantiranno nel tempo ai progetti di vita, perché l’ipotesi di cambiamento è molto bella, ma questi progetti per camminare hanno bisogno di condizioni che oggi non si riscontrano in maniera uniforme in tutto il Paese. Parlo di risorse economiche, ma anche della possibilità di avere un personale numericamente adeguato e qualitativamente formato che accompagni le persone con disabilità nel loro progetto di vita.
Quelli che verranno per la Lega del Filo d’Oro saranno mesi di osservazione delle nuove iniziative in partenza, di formazione del nostro personale, di preparazione delle persone, delle famiglie e dei contesti in cui esse vivono, perché il progetto di vita cambia anche il modo di lavoro in rete.
4. Mettere dentro i servizi la parola “futuro”
di Massimo Ascari, presidente Legacoopsociali
Con il DL 62 e il progetto di vita dovrebbe cambiare tanto, a partire dal lavoro multidiscipliare che dovrà essere svolto dai diversi enti coinvolti: enti previdenziali, aziende sanitarie locali, comuni, servizi sociali, ambiti territoriali. Per essere fattuale il cambiamento necessita della effettiva collaborazione di tutti questi enti che nella realtà finora hanno fatto fatica a lavorare insieme: credo che questo sarà lo scoglio più grande. Per le cooperative sociali lavorare in ottica multidisciplinare è normale, così come lavorare con più soggetti per arrivare a una sintesi, ma per questi enti è una sfida nuova, che implica anche l’accettazione di abdicare un po’ ad alcune funzioni e tutti sappiamo quanto sia complicato, nei fatti, cedere potere. È una sfida, ma tutti siamo fiduciosi che possa essere vinta perché il progetto di vita si costruisce solo così, insieme.
Le nostre cooperative stanno facendo un lavoro importante di riprogettazione dei servizi “tradizionali”: centri diurni, servizi residenziali e servizi domiciliari. Vorremmo provare a cambiare anche i termini e iniziare a parlare di un “abitare” il servizio, che significa dare a questi servizi un approccio più di casa, che in alcuni casi potrebbe essere anche di vita indipendente. La riprogettazione delle attività e delle modalità dei servizi tradizionali è un passo avanti che stiamo facendo e non da oggi.
C’è un elemento culturale e c’è un elemento economico, perché i cambiamenti si fanno con risorse aggiuntive (e questo ad oggi è un limite della legge, insieme alle diversità da cui i vari territori partono) e perché ragionare in termini di progetto di vita significa mettersi non in ottica assistenzialistica ma evolutiva, protesi verso finalità future: nei servizi tradizionali questo termine – futuro – spesso non si vede, ci si concentra solo sulla risposta ai bisogni dell’oggi.
5. Noi assistenti sociali pronti ad abbandonare la logica degli standard
di Mirella Silvani, vicepresidente Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali, responsabile Salute
Il progetto di vita che è il cuore della riforma non è una novità per gli assistenti sociali, che da sempre mettono in campo interventi e sostegni attenti all’ambiente in cui si svolge la quotidianità delle persone. Ora serve un pieno cambiamento nell’approccio. La sfida che ci aspetta e alla quale ci stiamo preparando – offrendo momenti di formazione nei territori e affiancando il ministero e l’Osservatorio nazionale – è l’abbandono della logica prestazionale e l’utilizzo della prospettiva antioppressiva. Ci spogliamo del potere di decidere gli interventi e aiutiamo le persone a capire e scegliere la propria vita.
Il nostro impegno sarà fondamentale per il ruolo che già svolgiamo. Un impegno sancito nel nostro Codice deontologico che ha l’autodeterminazione, la centralità e l’unicità della persona come principi guida. Le persone con disabilità e le famiglie chiedono di poter essere protagoniste potendo contare su professionisti competenti e servizi che si pongano in ascolto e li supportino nelle scelte, aiutandoli a raccontare in modo nuovo la propria prospettiva di vita. Siamo convinti che sia necessario e auspicabile un ripensamento profondo dei modelli dei servizi oggi a disposizione, servizi che potranno continuare ad essere una risorsa quando non saranno più schiacciati da standard predeterminati per lasciare spazio a quella flessibilità di accesso, di organizzazione, di tempi che è insita nei reali progetti di vita.
Per assicurare che questa riforma non resti sulla carta saranno necessarie le risorse e una regia territoriale che tenga insieme tutti i soggetti. È un ruolo, quello di regia, che potrà essere svolto dal Servizio sociale professionale in base a quella che sarà l’organizzazione che si daranno le Regioni.
6. Smettere di parlare e iniziare a progettare
di Marco Rasconi, presidente nazionale Uildm
Autonomia e vita indipendente sono da lungo tempo aree prioritarie di riflessione e lavoro per Uildm. La speranza è che dalle sperimentazioni territoriali possano nascere delle buone prassi, facilmente divulgabili e replicabili anche in altri luoghi. L’aspettativa delle famiglie è che questa norma non sia l’ennesimo buco nell’acqua e che finalmente si possano dare risposte concrete, visto che di progetto di vita si parlava già con la legge 328/2000. Cogliamo il bisogno di smettere di parlarne e di iniziare a progettare.
Per noi è cruciale partire di ciò che sta prima del progetto di vita.
Un progetto di vita è un processo corale in cui tutte le voci dei soggetti contribuiscono alla sua costruzione e interagiscono, e in cui tutte le posizioni devono essere considerate perché si fonda sui desideri della persona con disabilità, ma ancora di più sulle sue relazioni, sul suo essere parte di una comunità: questo è uno dei punti su cui non possiamo derogare. Avviare un progetto di vita è complesso perché ci vuole un lavoro preparatorio per giungere al primo nucleo di progetto. Sarà più facile, in seguito, rivederlo accordandolo ai mutamenti della vita della persona, età, desideri, bisogni.
In questo contesto servono risorse e formazione: risorse a disposizione nel lungo periodo e una struttura formata, ossia l’équipe multidisciplinare che sta a supporto della persona nel suo processo decisionale. Se saranno presenti questi elementi potremo rispondere in maniera più efficiente al domani delle persone.
7. Sul campo con entusiasmo, perché le sfide del cambiamento non possono essere vinte dai singoli
di Paolo Bandiera, direttore affari generali e relazioni istituzionali Aism
Aism ha una lunga tradizione in tema di umanizzazione e personalizzazione dei percorsi di vita delle persone con sclerosi multipla e patologie correlate, nei diversi contesti e ambiti di vita. Partiamo quindi da una base culturale già fortemente centrata sulla progettazione individuale e su modelli di reale partecipazione della persona ai processi e percorsi che la riguardano. La nostra Agenda della sm 2025, che costituisce la cornice strategica per tutti i soggetti coinvolti a diverso titolo nelle sfide della sm, colloca il Progetto di Vita tra le priorità massime da coltivare e sviluppare, già a partire dalla fase di sperimentazione della riforma. Per sostenere e concretizzare il diritto al progetto di vita abbiamo prima di tutto condiviso il valore della riforma al nostro interno e quindi declinato la nostra mappa strategica e operativa affinché tutta l’organizzazione, ad ogni livello, sia in grado di farsi parte attiva nella concreta applicazione di queste novità.
Che cosa cambierà nella nostra organizzazione e nei nostri servizi? Partiamo da attività di informazione, costruzione di consapevolezza, abilitazione delle persone e degli operatori. Valorizzeremo e potenzieremo ulteriormente i nostri sportelli territoriali di accoglienza, informazione, orientamento; porteremo avanti e amplieremo modelli collaborativi con le reti e il sistema dei servizi, nel solco della coprogrammazione e coprogettazione dei servizi e interventi; attraverso un progetto innovativo, dedicato alla realizzazione dell’Agenda della sm nei territori, svilupperemo supporti, sostegni, protocolli di accompagnamento e soluzioni operative per promuovere e sostenere l’accesso alla valutazione multidimensionale e al progetto di vita e al correlato budget di progetto, con un focus particolare nel 2025 alle nove province coinvolte nella sperimentazione. Considerando che la SM è una delle tre condizioni che saranno oggetto di sperimentazione anche per la nuova valutazione di base affidata all’Inps, che semplificherà notevolmente il procedimento per i cittadini, portando ad una certificazione attestante la condizione di disabilità di norma di durata illimitata.
Da parte delle persone e delle famiglie c’è grande interesse e voglia di mettersi in gioco, sperimentando nelle proprie vite queste novità tanto attese. Nello stesso tempo arriva una forte richiesta alla nostra associazione di vivere con lo stesso entusiasmo e voglia di mettersi in gioco le sfide della riforma, che non possono essere vinte dai singoli, siano essi le singole persone con disabilità o i singoli referenti dei servizi del territorio.
La riforma, con il progetto di vita, le nuove valutazioni di base e multidimensionale, il budget di progetto, l’affermazione forte dell’accomodamento ragionevole, è destinata a cambiare profondamente la realtà attuale. Il progetto di vita non sarà la mera sommatoria dei singoli piani di intervento (scuola, lavoro, salute, etc.) ma un livello superiore in cui i percorsi settoriali trovano coerenza e coordinamento, adattando i servizi e gli interventi sulla base degli obiettivi di vita che nascono dalle preferenze, dai desideri, dai valori della persona, anche trovando soluzioni atipiche. C’è una prospettiva esistenziale che si sviluppa in continuità e c’è una posizione della persona con disabilità di “titolarità” sostanziale e non formale del procedimento. In molti casi i sistemi sono già predisposti per evolvere verso il progetto di vita: pensiamo nel caso della sm alle esperienze di Pdta che partendo dal patto di cura personalizzato potranno confluire all’interno dei futuri progetti di vita integrandosi con gli altri percorsi, ad esempio in ambito lavorativo.
8. I territori e i servizi? Sono pronti, ben oltre le aspettative
di Paola Rizzitano, consigliere nazionale Aisla con delega al Tavolo Tecnico Progetto di Vita
Per delega del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sono impegnata nella formazione nazionale nelle nove province in cui sarà avviata la sperimentazione prevista dal Decreto 62/2024. Già da molti anni Aisla è in campo per supportare il progetto di vita individuale ai sensi della legge 238/2000, normato ma mai realmente attuato: certamente non iniziamo da zero ma, vista la portata del cambiamento in essere, sicuramente nel corso del 2025 ci dedicheremo alla formazione, soprattutto per i nostri volontari e a condividere sui territori quel processo di trasformazione dell’approccio alla disabilità avviato con il decreto 62/2024. II nostro Centro di ascolto e il dipartimento socio-sanitario, con i volontari del territorio, saranno sempre disponibili per dare supporto in ogni fase del procedimento finalizzato al progetto di vita.
In realtà c’è ancora molto da lavorare perché tutti abbiamo la consapevolezza di poter avere, dal 2026, un progetto di vita personalizzato che tenga conto delle aspettative, dei desideri e priorità delle persone con Sla. Ma in un certo senso l’aspettativa è sempre una: non essere soli.
Quella disegnata dal decreto 62/2024 sarà davvero una rivoluzione a condizione che si trovino risorse ed energie per applicare la nuova normativa, ben più complessa e completa rispetto al “progetto di vita individuale” di cui all’art. 14 della Legge 238/2000. In tal senso vi sono molti indicatori che fanno ben sperare e ci rendono ottimisti, ad esempio l’aver previsto risorse dedicate alla formazione nei territori, una fase iniziale di sperimentazione solo su nove province e per tre patologie, oltre al coinvolgimento fattivo e concreto degli Ets e del Cnoas. Un altro elemento innovativo da non sottovalutare è la previsione di un vero e proprio procedimento amministrativo, con piena applicazione della L. 241/1990 anche in tema disabilità, e la fase di monitoraggio prevista per l’avvio del PdV.
Quanto i servizi e gli altri stakeholder siano pronti è ancora difficile dirlo, ma a mio avviso – dalla risposta dai territori, anche a seguito della prima fase nazionale di formazione nelle nove province – non è da escludere che i territori siano pronti e lo siano ben oltre le aspettative. In Italia ci sono moltissime persone che ogni giorno fanno rete intorno alle persone con disabilità, nelle politiche sociali, nella scuola, nel collocamento mirato o nel mondo delle professioni: tutti lamentano una certa solitudine, una mancanza di ascolto, quasi nessuno conosce il loro reale contributo e lo stesso vale per il valore degli Ets e in generale del volontariato. Da oggi in poi potranno tutti ritrovarsi – e ascoltarsi – intorno alla persona con disabilità nella costruzione del suo progetto di vita.
9. Quando eravamo vox clamans in deserto
di Roberto Speziale, presidente nazionale Anffas
Il diritto ad avere un progetto di vita individualizzato – tanto per la persona con disabilità quanto per la sua famiglia – risale alla legge 328/2000, che all’articolo 14, acclara tale diritto. Da allora Anffas si è battuta affinché questo diritto venisse riconosciuto e affinché i progetti di vita venissero redatti dai Comuni, cui la legge dava la titolarità. In questi anni in realtà molto spesso le famiglie hanno dovuto ricorrere ai tribunali per poter avere un progetto di vita: tribunali che hanno sempre riconosciuto il diritto, consolidando negli anni una giurisprudenza interessante sui vari aspetti concreti.
Negli anni successivi è diventato evidente il fatto che la concezione della disabilità centrata sul modello biopsicosociale non poteva più prescindere da una visione olistica della persona con disabilità e dei sostegni che essa deve avere per essere messa nelle condizioni di partecipare ai contesti sociali in parità con gli altri cittadini: ecco quindi che di progetto di vita parlano per esempio la legge 66/2017 e la 112/2016.
La legge 227/2021, la legge delega per la riforma della disabilità e poi il decreto legislativo 62/2024 quindi non introducono un nuovo diritto, lo procedimentalizzano. Quando il decreto 62 parla di progetto di vita individuale però aggiunge due termini importanti: personalizzato e partecipato. La norma cioè chiarisce che il progetto non è sulla persona o per la persona, ma della persona stessa: per questo non si può prescindere dal partire dai desideri, dalle aspettative e dalle preferenze della persona. In questo senso è evidente la differenza tra il progetto di vita e un paino individualizzato dei sostegni come il Pei, il Pai, il Pri ecc: questi mantengono la loro cogenza ma si inseriscono all’interno di un progetto generale che riguarda tutta la vita, tutti i bisogni, tutti i sostegni e tutte le risorse della persona.
Il decreto 62, nel suo proceduralizzare il diritto al progetto di vita, chiarisce chi fa cosa, come si procede, chi è il responsabile dell’attuazione del progetto… per esempio con questa figura del “responsabile dell’attuazione del progetto di vita” la famiglia non dovrà più “fare il giro delle sette chiese” per avere accesso ai vari fondi, ma sarà lui – una volta che il progetto di vita e il budget di progetto sono stati approvati – ad interloquire con i vari uffici per far sì che il progetto abbia attuazione piena.
Il decreto introduce due grandi strumenti: il budget di progetto, che è ciò che dà gambe al progetto di vita e rende pienamente esigibili i sostegni individuati e l’accomodamento ragionevole, che è qualcosa di diverso da ciò che abbiamo conosciuto finora nell’ambito dell’inclusione lavorativa delle persone con disabilità. Nell’accezione della Convenzione Onu, accomodamento ragionevole significa che dove individuiamo nel progetto di vita la necessità di un sostegno non previsto dal nostro ordinamento, la persona ha il diritto di chiedere l’accomodamento ragionevole e sarà la PA a dover garantire quel sostegno oppure a dimostrare che soddisfarlo richiede un onere sproporzionato ma che comunque è stato fatto di tutto per avvicinarvisi. Infine, ultimo tassello a garanzia dell’esigibilità dei diritti, sarà l’istituzione dell’Ufficio del Garante delle persone con disabilità, che sarà una autorità indipendente e avrà poteri di intervento anche sostitutivo, non solo ispettivo.
Anffas, che come detto da sempre si batte perché le persone con disabilità abbiano il loro progetto di vita, ha in corso due grandi iniziative. Una parte a metà gennaio ed è un grande intervento di formazione per tutte le nostre famiglie, operatori, medici delle commissioni mediche (ma sarà aperta a tutti). La seconda è il lancio, nei primi mesi del 2025, di un nuovo strumento che accompagni le famiglie e gli operatori nella stesura di una “proposta” di progetto di vita da presentare: è l’evoluzione di “Matrici ecologiche e dei sostegni”, quello strumento per la valutazione multidimensionale che da setto o otto anni abbiamo costruito prima in via sperimentale e poi implementandolo nel tempo.
10. Dalla “strada parallela” al vivere nel mondo di tutti (anche per persone con disabilità complesse)
di Nicoletta Squartini, Sara Alberti e Elena Morselli, Servizio sociale e Servizio socioeducativo del Centro “S. Maria Nascente” di Milano della Fondazione Don Gnocchi
Il tema del progetto di vita, ora giunto prepotentemente nelle agende della politica, è sempre stato affrontato all’interno dei servizi: sicuramente a partire dall’articolo 14 della legge 328 del 2000, ma anche prima attraverso i piani personalizzati della legge 162 del 1998. Regione Lombardia inoltre già al termine del 2022 ha anticipato i temi e contenuti del DL 62/2024.
Grandi passi sono già stati fatti nella direzione della condivisione, mentre ancora dobbiamo crescere nella direzione della costruzione partecipata dei progetti. Ciò presuppone una relazione di fiducia reciproca con le persone interessate, con le famiglie e con gli altri poli della rete e la capacità di riconoscere i rispettivi saperi.
La prima sfida sarà superare il concetto di standardizzazione delle prestazioni imposto dall’accreditamento, per accogliere sempre più elementi di flessibilità tipici della progettazione individualizzata e personalizzata. Siamo alla ricerca degli strumenti adatti ad aiutarci a raccogliere la dimensione del desiderio e delle aspettative per andare a valutare nel concreto i principi cardine del nostro operato, ricordandoci che l’autodeterminazione non coincide con la capacità d’agire: qui vi è una seconda insidiosa sfida, quella tra protezione e libertà. Così come è necessario smettere di valutare le persone, ma sempre più valutare con le persone la modifica dei contesti di vita, per raggiungere la realizzazione del proprio progetto personale.
Non possiamo immaginare la costruzione di un progetto di vita senza un lavoro costante di reciproca e autentica integrazione tra persone con disabilità e rete sociale. Per ridurre il rischio di retorica è necessario tradurre in azioni concrete il sostegno a poter vivere nel mondo di tutti, costruendo percorsi capacitanti che rendano le persone con disabilità protagoniste della propria vita. Intrecciare percorsi, pensieri, desideri superando la logica della “strada parallela” ovvero quella dedicata esclusivamente alle persone con disabilità. Questo richiede sempre di più un lavoro complesso sull’adattabilità e flessibilità dei servizi alla persona e dei contesti di vita. Si tratta di andare oltre alla visione del limite, senza la pretesa di rimuoverlo per contemplare la specificità di ciascuno come valore per tutti.
Il progetto di vita per poter essere realizzato avrà bisogno sempre di più di una integrazione e connessione tra i vari contesti di vita, servizi sociali e sanitari. I servizi e gli stakeholder che lavorano nel mondo della disabilità oggi hanno già assunto come approccio di lavoro il progetto di vita, si parla un linguaggio comune che tendenzialmente ci conduce verso un orizzonte condiviso. I servizi non sembrano però ancora sufficientemente pronti a realizzare progetti per persone con disabilità con bisogni complessi, che richiedono risposte di assistenza elevata: questa è sicuramente un’importante sfida da portare avanti.