di Giovanni Merlo
Una riflessione tra gli scaffali del supermercato. Una commessa che scardina il cliché secondo cui sono sempre le persone con disabilità quelle da aiutare.
Non so nulla di te. Non so come ti chiami, quanti anni hai, dove vivi, che scuole hai fatto e cosa fai nella vita, oltre a lavorare qui. Conosco te, più o meno allo stesso modo con cui conosco i tuoi colleghi: volti familiari che mi passano accanto e che, con il loro lavoro, rendono possibili i nostri acquisti. So anche che sei qui da diversi anni perché sono un cliente affezionato e di lunga data. Non ho potuto fare a meno di notare che lavori bene: riservata, seria, cordiale.
Ho avuto anche modo di scambiare, di recente, due parole con te. Perché non riuscivo proprio a trovare un prodotto:
“Sa per caso dove si trova … “
“Si certo, è in quella corsia …”
“Grazie”.
“Prego”.
Un altro giorno, sono rimasto colpito da come cercavi di spiegare ad un giovane collega, un po’ impacciato, come manovrare quel muletto (credo si chiami così) con cui spostare la merce: sei stata brusca ma non aggressiva e alla fine -perché mi sono fermato facendo finta di niente- ogni cosa è andata a suo posto.
Una bella e curiosa inversione dei ruoli, rispetto ai cliché che prevedono che le persone con disabilità siano sempre quelle da aiutare, poverine. In verità non ti ho mai dedicato molti pensieri e attenzioni, impegnato a dimenticare meno cose possibile della lista della spesa che mi ostino a non scrivere.
Oggi però ho alle spalle giorni e settimane difficili, che hanno messo in discussione molte delle certezze che mi hanno sostenuto in questi anni. I pensieri si aggrovigliano così come le emozioni.
E quindi penso che non ci sia nulla di eccezionale nel tuo stare qui con noi ma, purtroppo, neanche nulla di scontato. È un “privilegio” che riserviamo solo alle persone con disabilità: sarebbe bastato nascere po’ prima o un po’ dopo, un po’ più in qua o un po’ più in là. Oppure incontrare lungo la strada della tua infanzia e adolescenza persone con idee e convinzioni diverse e la tua vita avrebbe preso una piega molto diversa. Invece di essere qui, ad esempio, avresti potuta essere in un altro luogo, a passare la giornata a fare delle attività, magari belle, insieme a “persone come te” (qualunque cosa significhi questa brutta espressione).
E se è vero che per tutti la vita dipende -e molto- da diverse circostanze che sfuggono al nostro controllo, è anche vero che questo “bivio esistenziale” tra inclusione e protezione, tra lavoro e assistenza, tra supermercato e centro diurno, lo riserviamo praticamente solo alle persone con disabilità.
Giustamente -ci mancherebbe altro- il tuo essere qui fra noi non merita i titoli di giornali e le inaugurazioni istituzionali che riserviamo ai nostri progetti più impegnativi e ai luoghi “dedicati”. Però è certamente più bello e prezioso per te e per tutti noi.
Ma è tardi ed ho finito di fare la spese. È ora di tornare a casa.
Andando verso la cassa ti passo accanto e non posso fare a meno di pensare, tra me e me:
“Grazie”.
“Prego! … ma di che?
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