Come ampiamente riferito nei giorni scorsi anche su queste pagine, la Regione Lombardia ha approvato, su istanza della LEDHA, la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità che costituisce la componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e che ne aveva formulato i contenuti fondamentali, la Legge Regionale 25/22 (Politiche di welfare sociale regionale per il riconoscimento del diritto alla vita indipendente e all’inclusione sociale di tutte le persone con disabilità), pubblicata sul Bollettino Ufficiale Regionale n. 49 (supplemento del 9 dicembre).
Data l’importanza di tale norma per la sua originalità e completezza, si propone a tutto il mondo della disabilità di prenderla in considerazione quale modello, ovviamente adattabile alle diverse situazioni regionali, nonché all’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità di tenerla presente nella stesura dell’emanando Decreto Delegato della Legge 227/21 (Legge Delega al Governo in materia di disabilità), concernente proprio la “vita indipendente”.
La Legge si compone di tredici articoli, scritti in modo semplice e comprensibile. Il primo di essi si apre con il riferimento alle norme fondamentali poste alla base di tutto l’impianto normativo e cioè la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dall’Italia con la Legge 18/09, l’articolo 14 della Legge 328/00, l’Allegato F al Decreto del Presidente del Consiglio (DPCM) del 21 novembre 2019, recante le Linee di indirizzo per progetti di vita indipendente.
Lo stesso articolo 1 indica le seguenti finalità: «a) possibilità di scegliere il proprio luogo di residenza e di decidere con chi vivere; b) accesso ai servizi e agli interventi domiciliari, diurni e residenziali della rete sanitaria, sociosanitaria e sociale, finalizzato al sostegno alla vita indipendente, garantendo l’inclusione nel tessuto sociale ed evitando l’isolamento o la segregazione; c) modalità di fruizione dei servizi e delle strutture sociali destinate alla generalità dei cittadini, adattandoli ai loro bisogni; d) dimensione lavorativa, garantendo e favorendo l’esercizio del diritto al lavoro».
Il secondo articolo precisa poi la definizione dei termini fondamentali indicati nella Legge, mentre gli articoli 3 e 4 precisano che la Legge stessa si applica a tutte le persone con certificazione o di disabilità o di handicap anche lieve, a partire dal 14° anno di età o che frequentano la scuola.
Il quinto articolo, quindi, stabilisce che: «la persona con disabilità è titolare del progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato e, a tal fine, partecipa attivamente alla definizione dello stesso, determinandone i contenuti sulla base dei propri bisogni, interessi, richieste, desideri e preferenze. Qualora la persona con disabilità si trovi in condizioni di incapacità legale o naturale, si applicano le disposizioni previste dall’ordinamento civile, assicurando, per quanto possibile, la partecipazione della stessa alla elaborazione del progetto» e successivamente che «il progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato riguarda l’intero arco della vita della persona con disabilità, è sottoposto a periodico aggiornamento e può essere modificato in qualunque momento su richiesta della persona interessata, del suo rappresentante legale o di altro soggetto che ne abbia titolo».
È stranamente taciuto che la persona con disabilità possa essere “assistita” dall’amministratore di sostegno di cui alla Legge 6/04. Ovviamente ciò dev’essere ritenuto implicito nella dizione più ampia testé citata («si applicano le disposizioni previste dall’ordinamento civile») e tuttavia non sarebbe stato male esplicitarlo, anche perché l’amministratore di sostegno è la figura modernamente più idonea a rispondere ai bisogni esistenziali della persona con disabilità, oltreché ai suoi interessi economici, dei quali soli invece si occupa il tutore.
E ancora, il progetto dev’essere predisposto dal Comune di residenza dell’interessato entro novanta giorni dalla data della sua richiesta. A tal proposito è da precisare che la giurisprudenza è intervenuta in modo determinante per l’attuazione concreta di questo principio, già sancito dal citato articolo 14 della Legge 328/00. Infatti, il Tribunale di Marsala (Trapani), con la Sentenza n. 366 del 2019, aveva condannato il Comune (anche al pagamento dei danni), Comune che aveva sottoscritto il progetto, ma ritardava ad eseguirlo o addirittura si rifiutava di farlo. Inoltre, il Consiglio di Stato, con la Sentenza n. 3181 del 2021 aveva annullato la Sentenza del TAR della Campania (Tribunale Amministrativo Regionale), che aveva rigettato il ricorso di un interessato all’attuazione del progetto di vita stipulato con il proprio Comune, ordinando la nomina del Prefetto come “commissario ad acta” perché si sostituisse al Comune inadempiente e provvedesse a tutte le spese del Comune stesso, per l’adempimento del progetto. Tra l’altro, onde evitare un ulteriore ritardo, il Consiglio di Stato aveva condannato il Comune, con clausola previsionale, al pagamento di 100 euro per ogni giorno di mora nell’adempimento, a partire dalla data di presentazione della domanda del progetto di vita.
Questo ormai consolidato orientamento giurisprudenziale è frutto anche, va detto, del meritevole e assiduo intervento dell’ANFFAS Nazionale (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo), patrocinata dall’avvocato Gianfranco de Robertis.
Tornando alla nuova Legge Regionale Lombarda 25/22, l’articolo 6 di essa regola la “valutazione multidimensionale” del “funzionamento” dell’interessato, predisposta dall’apposita Commissione dell’ASL di competenza territoriale, che è l’atto introduttivo al progetto di vita indipendente. Tale Commissione, specifica della Regione Lombardia, per tutte le altre Regioni è già prevista dall’articolo 5 del Decreto Legislativo 66/17 per la formulazione del Profilo di Funzionamento e verrà meglio indicata, anche a tal fine, dall’apposito Decreto Delegato della Legge Delega 227/21 di cui si è detto più sopra.
L’articolo 7 elenca quindi – e questa è un’indicazione fondamentale e indispensabile per la concreta realizzazione del progetto di vita – tutte le necessarie risorse finanziarie e umane costituenti il “budget di progetto”, esattamente come segue: «Alla formazione del budget di progetto concorrono le risorse disponibili pubbliche e private destinate al sostegno della persona con disabilità, tra le quali: a) le risorse per gli interventi domiciliari di natura sanitaria, sociale ed educativa; b) le risorse della rete delle unità di offerta sociosanitarie, socio-assistenziali e socio educative e degli interventi residenziali e semiresidenziali sperimentali degli enti locali; c) i contributi e gli altri sostegni comunali destinati ai progetti individuali; d) le risorse derivanti dal Fondo nazionale per le politiche sociali (FNPS), dal Fondo nazionale per la non autosufficienza (FNA), dal fondo di cui alla legge 22 giugno 2022, n. 112 (Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare) e quelle dedicate all’interno del Fondo sociale europeo (FSE) e di altri fondi pubblici che dovessero rendersi disponibili; e) le risorse e gli interventi a sostegno dell’inclusione scolastica di carattere regionale, ivi compresi quelli attivati a favore della disabilità sensoriale, avviati presso le scuole secondarie di secondo grado e i centri di formazione professionale; f) le risorse e gli interventi a sostegno dell’inclusione lavorativa; g) ogni altro intervento di welfare sociale promosso dalla Regione e dagli enti locali; h) i trasferimenti monetari di tipo assistenziale, previdenziale e le risorse personali, così come quelle liberamente messe a disposizione dai familiari, anche in termini di lavoro volontario, o quelle attivabili dalla comunità sociale di appartenenza; i) le risorse impegnate dalla Regione e dai comuni per le tariffe delle unità di offerta residenziale sociosanitarie o socio-assistenziali, che possono confluire nel budget di progetto qualora si preveda un percorso di uscita dai servizi residenziali e tenuto conto della valutazione multidimensionale, nonché del progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato».
Da questo elenco manca per altro la Legge 162/98, sui “progetti di vita autonoma”, perché in Lombardia tutti i fondi rinvenienti da diverse norme sono stati fusi in un fondo unico.
È qui da ricordare che della Legge 162/98 si è avvalsa ad esempio l’ABC Sardegna (Associazione Bambini Cerebrolesi), per far realizzare già da anni dalla propria Regione e pure con abbondanti risorse finanziarie proprie, la maggiore e migliore realizzazione di progetti di vita autonoma rispetto a tutte le altre Regioni italiane.
In tali progetti potrebbe inoltre pure rientrare quello di “vita indipendente del dopo-di-noi realizzato in forma cooperativistica”, proposto dalla Fondazione Emanuela Zancan e segnalato su queste stesse pagine, ove è apparso in seguito anche un contributo di integrazione pubblicato da chi scrive, ulteriormente approfondito da Maurizio Zerilli del Distretto Rotary 2060 (Triveneto), nonché completato a livello organizzativo dall’articolo di Guido Trinchieri, presidente dell’UFHA (Unione Famiglie Persone con Disabilità) e vicepresidente della Consulta Regionale per i Problemi della Disabilità e dell’Handicap del Lazio.
L’articolo 8 della Legge Regionale Lombarda 25/22 esplicita un importantissimo servizio di aiuto personale, costituito dall’“assistente personale”, già previsto in generale dalla citata Legge 162/98, addirittura con un’assistenza di ventiquattr’ore su ventiquattro nei casi gravissimi.
Qui è espressamente prevista l’assistenza cosiddetta “indiretta”, cioè il diritto della persona di scegliersi l’assistente pagato da sé, di cui egli dovrà ottenere il rimborso, ovviamente previo accordo con il Comune e successiva rendicontazione.
L’articolo 9 introduce un nuovo istituto in Lombardia, vale a dire il “Centro per la Vita Indipendente” di cui dovranno essere normati dalla Giunta Regionale la composizione e il funzionamento, un organismo operante a livello di àmbito territoriale dei Piani di Zona, con la finalità di consulenza ai Comuni e agli altri Enti Pubblici, privati e del privato sociale, per la formulazione, l’implementazione e le continue modifiche durante tutto l’arco della vita dell’interessato al proprio progetto di vita indipendente.
Per le altre Regioni ritengo che, qualora non si voglia pervenire all’istituzione di un nuovo Ente Locale quale il “Centro per la Vita Indipendente”, si possa attuare, con analoghe finalità ed effetti positivi, l’articolo 19 della Legge 328/00 sugli Accordi di Programma, già previsti dagli articoli 13 e 39 della Legge 104/92 e successivamente dall’articolo 27 del Decreto Legislativo 267/00 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali). Con tali Accordi, infatti, vengono approvati i progetti di vita indipendente proprio nel quadro dei Piani di Zona e tali strumenti amministrativi sono utilissimi per promuovere, tramite una Conferenza dei Servizi, il coordinamento di tutti gli interventi pubblici che debbono essere programmati e forniti per legge e di quelli privati e dei soggetti del Terzo Settore, volontariamente offerti o apportati grazie a convenzioni di coprogettazione e coprogrammazione, ai sensi dell’articolo 55 del Decreto Legislativo 117/17 (Codice del Terzo Settore).
Le parti stipulanti l’Accordo di Programma devono per legge costituire un Collegio di Vigilanza composto da rappresentanti delle parti stessi, che ha appunto il compito di vigilare sul corretto adempimento delle obbligazioni assunte da ciascuna parte. Se si attribuiscono al Collegio anche “poteri sostitutivi”, esso può intervenire provvedendo ad adempiere agli obblighi non assolte a spese della parte inadempiente. Questo organismo è quindi, a mio avviso, simile al “Centro per la Vita Indipendente” previsto dalla legge della Lombardia, anzi, può avere poteri maggiori, evitando le lungaggini di eventuali processi contro le parti inadempienti, con risparmio di tempo e immediato ristoro della parte creditrice della prestazione non assolta, nel nostro caso la persona con disabilità.
Di estremo interesse è poi anche l’articolo 10 della nuova norma, poiché affronta sia il tema delle condizioni di vita delle persone con disabilità nei centri residenziali e semiresidenziali, sia il monitoraggio e la revisione delle condizioni contrattuali tra Enti Locali e soggetti gestori dei servizi, sia, ancora, la deistituzionalizzazione in funzione di una vita pienamente indipendente, ovviamente laddove possibilem con la creazione delle condizioni garantite dalla Legge in esame. Ritengo pertanto opportuno riprodurre l’intero testo dell’articolo 10, chiarendo che il termine «unità di offerta sociosanitarie e socio-assistenziali», ivi contenuto, va inteso in generale come i soggetti che forniscono tali servizi: «1. I criteri di accreditamento, funzionamento, finanziamento e controllo delle unità di offerta sociosanitarie e socio-assistenziali in cui sono inserite persone con disabilità devono: a) permettere e favorire il diritto alla vita indipendente e all’inclusione sociale, garantendo condizioni di vita tali da realizzare concretamente il progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato ed evitare l’isolamento o la segregazione; b) introdurre nell’ambito della regolamentazione delle unità d’offerta sociosanitarie e sociali elementi di flessibilità per permettere la realizzazione degli interventi definiti dal progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato nella logica del budget di progetto; c) prevedere regole e interventi che garantiscono la formazione di ambienti di vita assimilabili a quelli familiari, il passaggio in condizioni ordinarie dell’abitare e la de- istituzionalizzazione, anche attraverso la riconversione delle risorse, in favore di percorsi inclusivi. 2. Entro un anno dall’entrata in vigore della presente legge, la Giunta regionale, in collaborazione con gli enti locali, con le associazioni maggiormente rappresentative delle persone con disabilità e con gli enti gestori, avvia il processo di revisione del funzionamento e finanziamento a partire dalle unità d’offerta sociosanitarie e socio-assistenziali».
L’articolo 11, infine, indica il finanziamento di 2 milioni di euro annui per gli esercizi 2023 e 2024, mentre per gli anni successivi si provvederà con le annuali Leggi di Bilancio Regionale.
In conclusione ritengo si debba dare atto alla LEDHA che è riuscita con professionalità ad offrire ai cittadini con disabilità della Lombardia uno strumento prezioso che certamente migliorerà la qualità di vita delle persone con disabilità della Regione e anche uno strumento assai stimolante per le Associazioni aderenti alla FISH e non solo ad esse, per un ulteriore traguardo nella lunga via della qualità di vita inclusiva delle persone con disabilità.