Il recente Decreto Legislativo 62/2024 ha previsto, oltre ai cambiamenti sostanziali riguardanti la valutazione di base, la valutazione multidimensionale e il progetto di vita[1], anche l’adeguamento del lessico dedicato alla disabilità nelle norme e nell’ambito dell’Amministrazione Pubblica[2]. Vengono messe definitivamente in soffitta parole come handicap, handicappato, portatore di handicap, diversamente abile e persino disabile, in favore di una concezione universale della “condizione di disabilità” e della “persona con disabilità”. Quello che per lungo tempo è stato definito come situazione di gravità o più semplicemente come “grave” o “gravissimo” viene ora descritto come necessita di sostegno, che può essere lieve, moderata, elevata o molto elevata (intensiva). Si tratta di un (tardivo) adeguamento della Repubblica Italiana di quanto previsto dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità.
Le indicazioni e le scelte di Lombardia Sociale
Sin dalla sua nascita, la redazione e gli autori che hanno animato le pagine di Lombardia Sociale hanno avuto un’alta attenzione al linguaggio utilizzato per parlare di disabilità (e non solo). Rileggendo i diversi contributi, che pure esprimono spesso idee e punti di vista differenti tra loro, emerge la scelta di un linguaggio condiviso, che sia ad un tempo rigoroso nei contenuti e rispettoso di tutte le persone e realtà coinvolte nel welfare sociale per la disabilità. In fase redazionale, mantenendo una forte attenzione a lasciare liberi gli autori di decidere come esprimersi, non sono mancate osservazioni e suggerimenti proprio sul tema del linguaggio.
Con questo articolo, vogliamo anche assumere l’impegno di continuare su questa strada, favorendo la riflessione e il confronto sul tema del linguaggio e del lessico utilizzato per parlare di disabilità, anche e soprattutto nell’ambito delle politiche sociali. Un’opportunità di crescita che sarebbe vanificata se dovesse trasformarsi in un mero rispetto formale di regole predefinite, considerate “politicamente corrette”.
Parliamo di disabilità e quindi, necessariamente di barriere
Utilizzare sempre le parole “disabilità” per descrivere il fenomeno, e l’espressione “persone con disabilità” per indicare le persone direttamente coinvolte, significa fare proprie le definizioni presenti nella Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità:
Riconoscendo che la disabilità è un concetto in evoluzione e che la disabilità è il risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali ed ambientali, che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri, (preambolo punto e.).
Per persone con disabilità si intendono coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri. (articolo 1, punto 2)
Si tratta di una rappresentazione della disabilità che non può più essere ricondotta soltanto alle caratteristiche della singola persona e che investe, sempre ed in ogni caso, la relazione tra la persona con una o più compromissioni e l’ambiente in cui vive. L’attenzione quindi non è più focalizzata unicamente sulla diagnosi o sui limiti, ma sulla impossibilità di partecipare alla vita sociale su base di uguaglianza per la presenza di barriere, che possono essere tanto ambientali che comportamentali.
Non è sempre facile tener fede a questa scelta culturale e politica perché gran parte delle misure e dei servizi del nostro sistema di welfare sociale sono ancora ritagliati in base alle caratteristiche specifiche che fanno appartenere una persona ad un gruppo considerato meritevole di attenzione e di intervento, ancora molto spesso in base alla diagnosi o ai bisogni di cura e assistenza. Inoltre l’area della disabilità della Convenzione è più ampio di quello definito oggi dall’organizzazione dei servizi in Italia. Ad esempio non ci sono confini definiti dall’età, mentre noi continuiamo ad indicare come “anziani non autosufficienti” persone che dovremmo almeno iniziare a considerare “persone anziane con disabilità”. Allo stesso modo, il nostro modello di welfare ha scavato un fossato tra l’organizzazione degli interventi in psichiatria (ancora di prevalenza sanitaria) e quelli del resto della “disabilità” (sociosanitaria e socioassistenziale), senza alcuna giustificazione logica se non quella connessa alla storia dei servizi. Lo spirito e la lettera della Convenzione, esclude la possibilità di distinguere il riconoscimento dei diritti di una persona in base alla tipologia delle sue menomazioni e compromissioni o ai suoi bisogni di sostegno.
L’espressione persone con disabilità assume quindi un valore universale, che comprende tutte le persone che condividono la condizione di disabilità: un concetto che viene dato per scontato e rafforzato con l’aggettivo “tutte” solo in tre passaggi, in cui è stato evidentemente considerato necessario:
- nel Preambolo, al punto j: “Riconoscendo la necessità di promuovere e proteggere i diritti umani di tutte le persone con disabilità, incluse quelle che richiedono un maggiore sostegno”;
- nell’art. 4 (Obblighi generali) al punto 1: “Gli Stati Parti si impegnano a garantire e promuovere la piena realizzazione di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali per tutte le persone con disabilità senza discriminazioni di alcun tipo sulla base della disabilità”;
- nell’art. 19 (Vita indipendente e inclusione nella società): “Gli Stati Parti alla presente Convenzione riconoscono il diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone, e adottano misure efficaci ed adeguate al fine di facilitare il pieno godimento da parte delle persone con disabilità di tale diritto e la loro piena integrazione e partecipazione nella società …”.
E’ solo nella, già richiamata, definizione di disabilità che si fa riferimento a diverse tipologie, non di disabilità, ma di “impairments”[3]: un termine che in italiano è stato tradotto in menomazioni, ma che potrebbe essere anche abbinato al concetto di compromissioni o disturbi, difficoltà. In questa logica, appare quindi corretto parlare, ad esempio di persone con compromissioni fisiche o di disturbi mentali, o di altre espressioni equivalenti, ma solo quando si ritenga necessario fare riferimento alle sole menomazioni della persona e non alla sua più ampia condizione di disabilità.
La “Convenzione ONU” si limita a specificare le tipologie di compromissioni e non delle disabilità. L’attuale contesto delle politiche di welfare sociale è però caratterizzato da un elevato livello di frammentazione, dove misure, servizi e prestazioni sono spesso progettate e indirizzate alle persone anche in base alle tipologie di compromissioni o disturbi. Di conseguenza, pur con tutte le attenzioni del caso, e solo quando considerato necessario, continueremo a parlare di disabilità fisica, sensoriale, intellettiva e mentale.
In ogni caso, continueremo a prestare molta attenzione ad evitare che una caratteristica della persona vada a sovrapporsi con la sua identità, evitando di trasformare alcuni aggettivi in sostantivi (i disabili, gli autistici, gli psichiatrici, i down) anche a costo di effettuare ripetizioni nel testo.
Per questa stessa ragione, la scelta di non utilizzare più l’espressione “grave” e tutti i suoi derivati, non vuole e comunque non potrebbe, nascondere l’importanza e la pervasività nella vita delle persone di alcune menomazioni e compromissioni: al contrario, proprio in queste situazioni si deve mettere in risalto la necessità (e quindi il diritto) di poter avere a disposizione tutti i sostegni necessari per poter vivere bene, effettuare le proprie scelte e partecipare alla vita sociale.
La disabilità è un concetto in evoluzione
Abbiamo visto come anche la stessa “Convenzione Onu” ritiene che la riflessione sulla disabilità non sia da considerare conclusa; al contrario, si tratta di un concetto in evoluzione e questo cambiamento potrà riguardare ancora la sua rappresentazione.
Non si tratta di chiacchiere: le rappresentazioni sociali della disabilità influenzano, in alcuni casi determinano[4] gli indirizzi politici e amministrativi degli interventi indirizzati verso le persone con disabilità, in positivo o in negativo, a seconda di come li si valuta.
Per questo riteniamo che utilizzare le nostre energie anche per discutere di come scrivere e parlare di disabilità non sia tempo perso ma guadagnato, speriamo in favore di una migliore qualità della vita delle persone con disabilità.
[1] Per approfondimenti, si segnalano i seguenti due contributi pubblicati su LombardiaSociale.it:
Merlo G., Disabilità: verso un progetto (di vita) per tutti, 21 giugno 2024
Franchini R., Il Progetto di Vita: verso la sperimentazione, 19 giugno 2024
[2] Art. 4 D.Lgs 62/24: terminologia in materia di disabilità
A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto:
a) la parola: «handicap», ovunque ricorre, e’ sostituita dalle seguenti: «condizione di disabilita’»;
b) le parole: «persona handicappata», «portatore di handicap», «persona affetta da disabilita’», «disabile» e «diversamente abile», ovunque ricorrono, sono sostituite dalle seguenti: «persona con disabilita’»;
c) le parole: «con connotazione di gravita’» e «in situazione di gravita’», ove ricorrono e sono riferite alle persone indicate alla lettera b) sono sostituite dalle seguenti: «con necessita’ di sostegno elevato o molto elevato»;
d) le parole: «disabile grave», ove ricorrono, sono sostituite dalle seguenti: «persona con necessita’ di sostegno intensivo».
[3] Nella versione originale, in inglese, della Convenzione: “Persons with disabilities include those who have long-term physical, mental, intellectual or sensory impairments which in interaction with various barriers may hinder their full and effective participation in society on an equal basis with others”.
[4] Come dimostra il tragico episodio della storia, conosciuto come Operazione T4. Lo sterminio delle persone con disabilità, perpetrato dal regime nazista fu preceduto, giustificato e accompagnato da una intensa campagna di comunicazione che coinvolse anche gli apparati sanitari e sociali dell’epoca.