Anffas Lombardia ha presentato lo scorso 18 novembre all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano le Linee di indirizzo per la riconversione dei servizi in chiave inclusiva, frutto di una ricerca-azione durata 2 anni all’interno della rete dei servizi di Anffas Lombardia in collaborazione con il Dipartimento di Sociologia dell’università Cattolica. La ricerca è stata realizzata grazie al supporto di Anffas Nazionale e la collaborazione tra un team di ricercatori del Dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica[1] e di tecnici di Anffas Lombardia[2]. Hanno partecipato e contribuito alla realizzazione della ricerca 34 persone con disabilità, 43 famigliari, 16 referenti di enti territoriali pubblici, 52 operatori di 9 servizi socio-sanitari e sociali per la disabilità, di cui 8 della rete Anffas.

Le motivazioni

La ricerca nasce da una generale insoddisfazione verso l’attuale sistema dei servizi per la disabilità, basato su una rete di strutture concepita alla fine degli anni ‘70 che presenta limiti evidenti: un impianto regolativo rigido e prestazionale a forte connotazione abilista e sanitaria[3], la settorializzazione degli specialismi, la standardizzazione e la frammentazione degli interventi che risultano disallineati e inefficaci rispetto ai bisogni e agli obiettivi del Progetto di Vita.
Nella prospettiva di un approccio evolutivo, innovativo e rigenerativo dei requisiti organizzativi e gestionali, che mettano al centro delle ipotesi di riforma non tanto le singole prestazioni ma le risposte al Progetto di Vita delle persone con disabilità e il suo sistema amministrativo e procedurale, Anffas con la ricerca offre un contributo a Regione Lombardia e alle istituzioni territoriali impegnate a ridisegnare la complessiva architettura dei processi di sostegno e di presa in carico delle persone con disabilità.
La ricerca inoltre è per i gestori dei servizi e gli operatori pubblici e del terzo settore uno strumento concreto di orientamento e sostegno alla transizione gestionale, organizzativa e metodologica dei servizi lungo le linee espresse dalla Convenzione ONU e dalle recenti normative.

Una ricerca inclusiva

La metodologia utilizzata è stata quella della ricerca-azione, che ha permesso di conoscere e analizzare le esperienze e le pratiche messe in campo dai gruppi dei soggetti coinvolti, al fine di comprenderne gli effetti e le reciproche percezioni, i punti di eccellenza e le criticità da cui trarre ipotesi per il cambiamento[4].
Un aspetto interessante di questa metodologia è come il coinvolgimento attivo dei diversi attori produca polifonie di voci e visioni poliedriche funzionali non solo a confrontare e riconnettere i diversi elementi costitutivi la complessità di situazioni o sistemi, ma anche a contrastare i possibili rischi di autoreferenzialità.
Per le modalità partecipative ed il coinvolgimento di persone con disabilità, famigliari, operatori dei servizi e delle istituzioni, la ricerca-azione si è rivelata inoltre una metodologia inclusiva, grazie all’adozione di strumenti d’indagine di tipo qualitativo specifici per ogni categoria di partecipanti e funzionali a far esprimere e valorizzare le diverse voci[5].
Ad esempio nelle interviste alle persone con disabilità, anche per evitare il rischio di risposte accomodanti e acritiche nei confronti di operatori e servizi, ad ogni risposta alle domande chiuse (SI=soddisfatto / NO=non soddisfatto) i partecipanti sono stati stimolati ad approfondirne le motivazioni, sollecitando esempi e descrizioni, utilizzando sostegni alla comunicazione per la corretta interpretazione delle domande e l’espressione delle risposte.

Condizioni mature

Il primo dato restituito dalla ricerca è la presenza di un tessuto normativo nazionale e regionale particolarmente avanzato. Leggi, delibere e decreti attuativi dell’ultimo decennio sono decisamente orientati alla prospettiva inclusiva e a garantire una corretta risposta ai bisogni collegati al Progetto di Vita[6] e alla qualità di vita delle persone con disabilità. Nei provvedimenti sono descritti obiettivi e procedure in grado di superare i limiti della settorializzazione degli interventi, della loro frammentazione e della scarsa integrazione delle competenze degli attori che interagiscono nel sistema. Le condizioni generali per passare in Lombardia dalle buone intenzioni alla concretizzazione della transizione inclusiva dei servizi sono quindi mature.
Si tratta ora di avviare senza indugi questo processo, valorizzando anche le indicazioni emerse dai numerosi percorsi di sperimentazione e innovazione praticate da anni sul territorio regionale, caratterizzati dall’integrazione tra i diversi livelli istituzionali, dal riconoscimento dell’autodeterminazione e della tutela dei diritti, dal coinvolgimento e partecipazione delle persone con disabilità, dei famigliari e degli enti gestori nella costruzione e realizzazione di progetti personalizzati che tengono conto delle preferenze e delle aspettative.

Linee d’indirizzo e indicatori

Dall’analisi dei dati raccolti sul campo sono stati estrapolati, per ogni gruppo coinvolto, gli elementi rappresentativi delle esperienze e gli esiti percepiti dai diversi attori, i punti di forza, le criticità e le proposte, ricercando successivamente le connessioni con l’insieme del quadro normativo.
Ciò ha permesso di identificare e definire 9 linee d’indirizzo e 180 indicatori utili a superare i limiti del sistema attuale, sostenere i processi di progettazione personalizzata e partecipata e orientare il cambiamento dei criteri di funzionamento dei servizi nell’ottica della loro riqualificazione e rimodulazione in chiave inclusiva.
Ogni linea d’indirizzo è caratterizzata da un set di indicatori orientatori all’azione, con la funzione di guidare sia il singolo servizio che l’apparato normativo che lo disciplina verso i cambiamenti auspicati.
Le linee d’indirizzo e gli indicatori sono tra loro interdipendenti secondo una logica sistemica: la loro presenza o assenza e il livello qualitativo della loro funzionalità produce effetti sulle altre linee e sull’intero sistema.
Invitando alla consultazione del report di ricerca[7] per un’analisi approfondita di quanto emerso, è possibile presentare sinteticamente alcuni elementi che, in attesa che venga ridisegnato l’intero sistema, possono essere già utilizzati per avviare il processo di rigenerazione dei servizi.

 

I servizi punto di partenza e non di arrivo

Quanto offerto da servizi e operatori è apprezzato dalle persone con disabilità e dalle famiglie, che chiedono di continuare a lavorare in senso emancipativo, con percorsi per sostenere l’acquisizione del maggior grado di autonomia possibile e l’inclusione nel tessuto sociale dove potersi confrontare con la vita quotidiana.
Il sistema dei servizi non deve perciò essere smantellato ma aggiornato e riformato nella prospettiva della Convenzione ONU e delle normative esistenti, considerando che i bisogni delle persone con disabilità si sono modificati e le loro aspettative si sono ampliate: le persone chiedono una vita più dinamica, aperta a un futuro evolutivo che ne riconosca le transizioni verso l’età adulta.
Una vita meno predeterminata e condizionata, con maggiori libertà personali e più opportunità di esperienze di vita nei contesti vissuti da tutti gli altri, dove attività e relazioni sono costruite in considerazione delle proprie aspettative e dei propri bisogni di sostegno e non sono circoscritte al solo perimetro del servizio.
Ne deriva che i servizi non andranno più intesi come luoghi esclusivi del destino delle persone, ma come un punto di partenza: non più un percorso di vita che si esaurisce all’interno dei servizi ma servizi al servizio di un percorso di vita personale. Quindi servizi intesi come uno dei sostegni di un percorso di vita personale che si sviluppa in diversi luoghi, co-progettato insieme ai diretti interessati, in forma dialogica e partecipata, generativo di opportunità e con il supporto di altri sostegni esterni al servizio[8].

Relazioni e inclusione

Per via delle difficoltà nel costruire nuove relazioni e a partecipare ad attività sociali esterne ai servizi, le criticità e le proposte di cambiamento espresse dalle persone con disabilità e dai famigliari si concentrano su relazioni e inclusione sociale. La richiesta è un’attenzione ai mondi vitali di tipo amicale con l’espansione di reti sociali per costruire nuove relazioni esterne ai servizi, il potenziamento delle attività inclusive in contesti comunitari e di aggregazione dove poter esercitare l’autonomia e l’indipendenza, lo sviluppo di opportunità di socializzazione e interazione con gli amici del centro in contesti esterni.
I famigliari chiedono di aprire il servizio verso l’esterno e creare esperienze inclusive, sia ricercando e vivendo esperienze sociali nei contesti del territorio, sia aprendo gli spazi al mondo esterno con azioni rivolte ai contesti che ospitano i servizi, aprendo i servizi a tutta la popolazione rendendoli accessibili, adatti e fruibili a tutte le persone. Indipendentemente dalla loro condizione[9].

Curare le comunità

La promozione della qualità di vita passa dalle possibilità di partecipazione alle scelte personali e dalle opportunità di far parte della comunità prevenendo l’isolamento e la segregazione in ogni sua forma.
Ne deriva la necessità d’interventi di sostegno alle comunità e ai contesti per adattarli e renderli vivibili e utilizzabili da tutti i cittadini, comprese le persone con disabilità. Ciò richiede un ampliamento del mandato dei servizi nella direzione del prendersi cura anche delle comunità, con azioni a supporto dei cambiamenti dei contesti di vita per promuovere il benessere delle persone e il loro senso di appartenenza[10].
Se dalla ricerca emerge che i servizi sono essenziali e indispensabili, è altrettanto essenziale e indispensabile trasformarli attribuendo loro un nuovo mandato che ne ampli ruolo e funzioni, con azioni mirate a lavorare con le realtà del territorio ospitante per contribuire all’attivazione di contesti di vita maggiormente coesi e inclusivi.

Co-progettazione

La ricerca ha permesso di cogliere l’efficacia delle metodologie riconducibili al modello del Progetto di Vita che utilizzano approcci di co-progettazione e partecipazione che vede protagonisti tutti gli attori: persone con disabilità, famiglia, case-manager pubblico e del privato sociale. Un protagonismo costante nelle diverse fasi, dove la valutazione multi-dimensionale e l’ideazione di contenuti e interventi raccolgono e valorizzano le aspettative delle persone, le risorse e le opportunità presenti nei contesti di vita, connettendo l’intero sistema delle risposte ai bisogni personali, in una cornice di progettualità e amministrazione condivisa in grado di uscire dai confini rigidi della standardizzazione prestazionale.
Nelle esperienze analizzate, i processi di co-progettazione innovativi attivati dal basso hanno generato relazioni positive e nuovi patti fiduciari tra persone, famiglie, servizi e istituzioni, sostenendo una disponibilità ad agire improntata dalla corresponsabilità, contrastando quella logica contrattuale di uno scambio tra prestazioni e corrispettivi che negli ultimi anni vede contrapporsi i servizi pubblici territoriali con le famiglie e i gestori dei servizi.

Il Progetto di Vita

Avere un Progetto di Vita non vuol dire poter predeterminare con certezza quello che avverrà nel corso della propria vita, ma significa poter immaginare che la propria esistenza abbia un futuro evolutivo e dinamico, alimentato da un orizzonte di aspettative da realizzare grazie a nuove esperienze da condividere con altre persone, in contesti sociali diversi dove costruire legami e senso d’appartenenza, agendo le proprie competenze, percependo di ricoprire ruoli socialmente riconosciuti e di sentirsi inclusi in una o più comunità.
La funzione dei servizi diventa quella di accompagnare il Progetto di Vita personalizzato e partecipato fornendo i sostegni necessari, tenendo conto del trascorrere del tempo e del corso di vita della persona, fornendo opportunità pensate per e con i bambini, i giovani, gli adulti e gli anziani con disabilità.
Una funzione di accompagnamento che privilegia forme relazionali caratterizzate da dissimmetrie mobili, dove la dipendenza dagli operatori diventa nel tempo più flessibile e meno esclusiva, favorendo l’emancipazione dal ruolo di utente. Un’emancipazione evidenziata nella ricerca da aspirazioni lavorative e affettive, da traguardi di indipendenza personale che oggi faticano ad essere assunte da servizi rigidamente standardizzati e strutturati.

Autodeterminazione e partecipazione

Promuovere l’autodeterminazione significa restituire la voce alla persona con disabilità per essere agente causale delle scelte che riguardano la propria vita, accogliendo preferenze, desideri, pareri, timori, scelte, idee circa il proprio futuro e valorizzarle in progettualità innovative e condivise con loro e con i famigliari.
Dalla ricerca è emerso che l’utilizzo di metodologie partecipative che sostengono l’autodeterminazione considerando le aspettative e le preferenze, negoziando e condividendo gli obiettivi, valorizzando il sapere esperienziale maturato dai famigliari nel corso degli anni, produce un maggior livello di soddisfazione e una percezione generale di benessere, stimola la motivazione ad attivarsi e la disponibilità a cooperare nel raggiungimento degli obiettivi.

Conclusioni

“Tutto ciò che non si rigenera, degenera”. Queste parole di Edgar Morin, pronunciate al Convegno Unesco nel luglio 2001, sarebbero sufficienti per sintetizzare l’urgenza di riqualificare e rigenerare l’intero sistema dei servizi per la disabilità. La ricerca, con la realizzazione delle linee d’indirizzo e dei relativi indicatori per orientare il processo di riqualificazione dei servizi in chiave inclusiva e partecipativa, rappresenta uno strumento in grado di indirizzare la riforma del sistema amministrativo, procedurale e di funzionamento dei servizi, facendo leva sull’effettivo utilizzo di quella progettazione personalizzata che appare oggi strategica nel contesto delle politiche sociali e socio-sanitarie di Regione Lombardia.


[1] Nicoletta Pavesi, professore associato (direzione scientifica), Matteo Moscatelli ricercatore, Chiara Ferrari assegnista
[2] Marco Bollani, Giovanni Daverio e Angelo Nuzzo
[3] Il tema della sanitarizzazione nei servizi per la disabilità è stato approfondito con diversi contributi da LombardiaSociale.it. Si segnalano i primi due articoli pubblicati che hanno avviato le successive riflessioni:
Merlo G., L’importante è la Salute e non la sanità, 12 aprile 2017
Merlo G., La complicata vita delle unità di offerta per le persone con disabilità, 3 maggio 2017
[4] Si segnala il seguente articolo pubblicato su LombardiaSociale.it che presenta la ricerca e i primi esiti: Nuzzo A., Riconvertire in chiave inclusiva i servizi per la disabilità, 6 maggio 2023
[5] La metodologia partecipativa e gli strumenti d’indagine utilizzati nella ricerca-azione saranno proposti come oggetto di studio alla prossima Call for Abstract: RC33 Undicesima Conferenza Internazionale sulla Metodologia delle Scienze Sociali che si terrà nel mese di settembre 2025 a Napoli.
[6] Per approfondimenti:
Merlo G., Disabilità: verso un progetto (di vita) per tutti, 21 giugno 2024
Franchini R., Il Progetto di Vita: verso la sperimentazione, 19 giugno 2024
[7] Per consultare la ricerca https://www.anffaslombardia.it/media/RICERCA-AZIONE-2024_DEF.pdf
[8] Si segnalano alcune esperienze realizzate nei territori:
Fondazione Stefania, Servizi per la disabilità. Chi non si rigenera, degenera, 18 novembre 2022
Cesco R., Essere o stare. Il miglior servizio è quello vuoto, 19 dicembre 2022
Gatti A. e Vipadi R., Disabilità. Alla ricerca di nuovi modi di “fare centro”, 16 luglio 2024
[9] Si segnalano alcune esperienze realizzate nei territori:
Bollani M., Disabilità: servizi per l’inclusione e la vita indipendente, 5 dicembre 2022
Plebani R. e Manzoni E., Vieni a prendere un caffè con noi?, 5 marzo 2025
[10] Nuzzo A., Curare il territorio per curare le persone, 16 gennaio 2017