A partire dal 2008 il Distretto di Lecco – composto dagli Ambiti di Bellano, Lecco e Merate (84 Comuni ca. 340.000 ab.) – ha iniziato ad assumere un ruolo di riferimento crescente nell’area delle disabilità. Qualche anno dopo, nel 2012, con l’approvazione del primo Piano di Zona Unitario dei tre Ambiti sono stati istituiti importanti livelli a supporto della programmazione sociale.
Un primo livello di carattere politico/istituzionale: l’Ufficio di Coordinamento dei Sindaci del Distretto di Lecco (prima della L. 23/2015 Consiglio di Rappresentanza dei Sindaci) costituito da Presidente e Vicepresidente con il coinvolgimento stabile dei Presidenti e Vicepresidenti dei tre Ambiti, di un rappresentante del Comune Capoluogo e della Provincia e, secondo gli argomenti trattati, anche di rappresentanti dell’ ATS Brianza e dell’ASST Lecco. Un secondo livello è rappresentato, sul piano tecnico/programmatorio, dall’Ufficio dei Piani costituito a livello distrettuale che coinvolge i referenti degli UdP territoriali. Organismi non molto grandi in termini di numerosità dei componenti, con una “geometria variabile” a seconda dei temi trattati e in grado di assumere tempestivamente gli aspetti di programmazione mantenendo una stretta relazione tra i territori e con i Comuni.
Questa struttura organizzativa ha dato vita ad un coordinamento della Rete distrettuale dei servizi per la disabilità e ha permesso di realizzare una programmazione integrata in tutta la provincia di Lecco, definendo prassi di lavoro condivise, regolamenti, criteri di spesa e tariffazione, realizzando progettazioni integrate fra servizi per interessi e affinità dei potenziali beneficiari (più che per appartenenza territoriale), coinvolgendo le realtà associative. Negli anni abbiamo investito molto sulla costruzione di una relazione solida e aperta tra pubblico e terzo settore, basata sulla convergenza di orientamenti culturali all’interno di una cornice aperta di natura istituzionale e non attraverso regole calate dall’alto, molto rispettosa delle esperienze dei singoli enti e tesa al bene comune, in una logica di corresponsabilità pubblica. Il mandato sociale è forte e chiaro e ciascun soggetto lavora per il raggiungimento di finalità condivise.
Un terzo livello importante è il Tavolo Istituzionale per l’integrazione sociosanitaria costituito da Distretto/Ambiti, ASST e ATS. Non è facile creare una vera e concreta integrazione tra sociale, sociosanitario e sanitario. Il Tavolo Istituzionale cerca convergenze generali sulle programmazioni e sulle scelte e promuove livelli operativi di confronto, creando alleanze che tengano conto delle caratteristiche, dimensioni e peculiarità di ciascun territorio. Per fare un lavoro efficace dobbiamo (ri)tradurre gli orientamenti previsti dalle normative secondo le specificità locali.
Il Tavolo Istituzionale per l’Integrazione sociosanitaria ha lavorato, ad esempio, sulla convergenza di obiettivi e orientamenti nella stesura del Protocollo per la salute mentale[1] e sulla Proposta operativa focalizzata sulle Case di Comunità[2], lavoro che ha coinvolto anche l’Ordine dei Medici, l’Ordine delle Professioni Infermieristiche, Federfarma (la Federazione nazionale dei titolari di farmacia italiani), la Coop. Cosma (Cooperativa Provinciale Medici di Medicina Generale), Confcooperative, il CSV Monza Lecco e Sondrio. Non è tutto semplice e scontato. Tale documento, anche se sottoscritto, vede ancora fatica nelle prassi di attuazione; è tuttavia importante per i nostri territori perché ha forti implicazioni sul piano della co-progettazione con tutti gli attori sociali e sociosanitari.
Tornando all’area disabilità, quali sono state le tappe successive del vostro percorso?
Nel 2013 abbiamo istituito il Servizio di Aiuto all’Inclusione (SAI), un servizio a livello provinciale di titolarità della programmazione sociale distrettuale organizzato dalla Gestione Associata dell’Ambito di Lecco/Impresa Sociale Girasole[3]. Questo servizio è nato con il compito di rispondere ad un bisogno di orientamento riguardo servizi, prestazioni, risorse più idonei alle esigenze di ciascuna singola situazione. Fin dall’inizio è emersa una domanda molto diversificata: famiglie con giovani disabili in uscita dal percorso scolastico, famiglie con minori con disabilità gravissima, persone con una propria storia personale e familiare interrotta da disabilità derivanti da eventi traumatici, persone disabili in uscita dai servizi per stanchezza e per età…
Abbiamo ancora un sistema istituzionale di risposte caratterizzato da modelli organizzativi ormai datati: servizi diurni strutturati e definiti indistintamente per fasce d’età troppo ampie (18-65 anni), regole di sistema ispirate al modello sanitario, un sistema incentrato sulle prestazioni e molto frammentato. Nel tradizionale sistema di offerta di servizi e risposte, nonostante gli sforzi di rinnovamento, il tema della personalizzazione è reso difficile da vincoli formali ed è spesso subordinato a quello dell’organizzazione in un’ottica di ottimizzazione e di ricerca di equilibri di stabilità.
Passo dopo passo, attraverso una modalità empirica di lavoro e partendo dalle sollecitazioni della nostra realtà, abbiamo iniziato a sperimentare[4] la realizzazione di percorsi e di progetti personalizzati tenendo come riferimenti l’art.14 della L. 328/00 e la Convenzione ONU 2006 che, come sappiamo, hanno avuto difficile applicazione nel contesto lombardo fino agli anni recenti. L’avvento della L. 112/2016 sul Durante – Dopo di Noi e i successivi Programmi operativi regionali hanno rappresentato per noi un fattore stimolante e facilitante, anche sul piano metodologico, se si pensa alla costituzione dell’Unità di Valutazione Multidimensionale Integrata.
Da un lato abbiamo gradualmente potenziato il SAI istituendo un’équipe di professionisti “complementari” in termini di competenze e formazione non solo professionali ma anche “esperienziali” (educatori, psicologi, assistenti sociali, con esperienze diverse anche di coordinamento di servizi). Dall’altro abbiamo iniziato a investire sulla riorganizzazione dei processi di lavoro e di strumenti finalizzati a riorientare progressivamente la prospettiva e l’approccio alla disabilità per rimettere al centro della progettazione la persona, la sua famiglia e il contesto di appartenenza nella definizione delle ipotesi di intervento, in cui i servizi svolgono una funzione complementare. In poche parole, abbiamo cercato, passo dopo passo, di flessibilizzare e personalizzare l’offerta, (ove possibile anche all’interno di un servizio strutturato), progettando percorsi meno codificati.
Accanto alle richieste di inserimento tradizionale nei servizi per la disabilità, infatti, l’esperienza di questi percorsi ha reso evidente come sia molto più rispondente ai bisogni una progettazione individualizzata di interventi integrati tra sostegno alla domiciliarità e all’inclusione territoriale, momenti di attività finalizzata presso servizi della rete, accompagnamento individuale ad occasioni di integrazione sociale, proposte educative specifiche, con l’obiettivo di lavorare su particolari aree di potenzialità, curiosità, interesse, desiderio rispettando fragilità e rileggendo i bisogni.
Potete citare qualche esempio derivante dalla strategia di flessibilizzazione?
Per noi il Progetto individuale è il “nastro della vita sul quale si dipana l’esperienza”. Tale visione serve, tra l’altro, per alimentare di energia i servizi. Tanti percorsi che oggi costruiamo non hanno più una “sede” unica, vengono privilegiate progettualità flessibili in luoghi diversi, anche presso sedi non tradizionali (ad esempio una bottega artigiana, un atelier artistico, un circolo ricreativo, una libreria) con équipe e professionisti diversi.
Con la Comunità Sociosanitaria (CSS) Casa L’Orizzonte di Lecco (progetto integrato fra Comune/Ambito/Cooperazione e ANFFAS) abbiamo previsto fin dall’origine (2006), una modalità di accesso estremamente flessibile. Abbiamo costruito percorsi differenziati e personalizzati: residenzialità vera e propria, possibilità di rientrare in comunità di sera dopo aver frequentato durante il giorno servizi diurni o attività occupazionali, esperienze di sollievo, possibilità di fermarsi in comunità solo per qualche ora … quindi possibilità di vivere e sperimentare una convivenza, un tempo abitativo molto “aperto” e dinamico in base alle esigenze e alle peculiarità di ciascuno. Certo, questa massima disponibilità ha richiesto un grande carico organizzativo non facile da gestire, ma responsabilmente assunto dagli operatori. Il risultato è stato una grande crescita e una fidelizzazione importante da parte delle famiglie.
Oggi stiamo attraversando un’ulteriore fase evolutiva: la CSS è matura per un’evoluzione in soluzioni abitative diverse, con la realizzazione di appartamenti per il Durante / Dopo di Noi. Grazie ad una profonda conoscenza e all’avvio di una rilettura della vicenda di ognuno attraverso percorsi flessibili e personalizzati, è giunto il tempo di valorizzare e riconoscere il diritto della persona di scegliere dove, come e con chi abitare. Con la realizzazione di questi appartamenti possiamo promuovere la possibilità di scelta, tenendo conto delle esigenze specifiche in termini assistenziali e relazionali di ciascuno, differenziando l’offerta e avviando una nuova fase di vita.
L’evoluzione della CSS si inserisce nel lavoro più generale che stiamo facendo sul Dopo di Noi[5]. È necessario avviare precocemente un lavoro di allestimento delle condizioni per poter vedere l’emancipazione abitativa come un fattore naturale, esito di un’evoluzione e crescita della persona e, insieme, un successo del nucleo familiare che ha saputo accompagnare anche questo figlio più fragile verso una propria dimensione di vita. Culturalmente spostiamo l’accento sul concetto del “dopo aver abitato con noi”, indicando appunto che pensiamo ad un esito, pur tutelato, di vita propria, più autonoma come realizzazione di sé e non come necessità di fronte al venir meno delle forze di familiari anziani. A questo compito pensiamo debbano essere riorientati i servizi, le unità d’offerta, vedendosi come attori di un percorso di reale emancipazione, sostenitori, accompagnatori e tutori, caremanager di un percorso in continua dinamica, e non come servizi definitivi, custodi del tempo. Servizi che assumono il tema del “progettare intorno all’Abitare e di progettare l’Intorno dell’abitare” investendo contemporaneamente sullo sviluppo di competenze specifiche nelle persone con disabilità e sul coinvolgimento dei contesti (il vicinato, il quartiere, i negozi, le associazioni…) perché possano essere risorsa e non ostacolo al processo di inclusione e di cittadinanza. Nel territorio provinciale sono state presentate un centinaio di istanze di “Dopo di Noi” e gran parte di queste prevedono una progettazione con un servizio diurno, segno di un investimento e di un’attenzione crescenti.
Uno stimolo importante viene dalle riflessioni avviate da Regione Lombardia nel confronto con ATS, ASST, enti gestori, reti associative importanti come Ledha, Anffas, Uneba, Confcooperative.
Il budget di progetto è a supporto dei percorsi individuali. Il modo in cui viene costruito rappresenta un aspetto significativo della vostra esperienza. Riuscite anche a riconvertire alcune componenti tradizionali di spesa?
Prima di implementare l’utilizzo del budget di progetto, abbiamo lavorato sulla definizione del progetto individuale attivando un dibattito molto intenso e un percorso formativo tra referenti degli Ambiti territoriali e operatori sociali che a vario titolo lavorano sul campo (assistenti sociali, operatori dell’assistenza educativa scolastica, educatori) e operatori sanitari per arrivare a costituire, nel 2017, sulla spinta della cornice del Dopo di Noi, l’Equipe di valutazione multidimensionale presso l’ASST di Lecco, integrata con il SAI che svolge un ruolo importante di coinvolgimento della rete di offerta e con i servizi sociali di base di tutto il territorio.
Il confronto ci ha portato a convenire su alcuni assi fondamentali. Per prima cosa, la definizione del progetto a partire da desideri e aspettative della persona e della sua famiglia. Abbiamo poi approfondito il tema della valutazione che deve essere veramente multidimensionale: deve riferirsi a ciò che effettivamente serve all’obiettivo dichiarato e deve fondarsi sull’interlocuzione con una serie di soggetti: non solo i professionisti, ma anche i contesti di vita (caregiver, famigliari, rete sociale, amici e compagni di esperienza della persona). Il SAI è uno strumento significativo perché porta un contributo importante di conoscenza della persona, sviluppa un lavoro di approfondimento e osservazione nei diversi contesti e negli ambienti frequentati raccogliendo informazioni, visioni, rappresentazioni, letture diverse che aiutano ad avere una conoscenza più reale e profonda della persona. Va posta attenzione, per esempio, anche a quale rappresentazione restituiscono i compagni di scuola, di un servizio frequentato, della società sportiva… Una lettura che non può essere solo “dall’alto” ma che assume punti di vista plurali e articolati. Per cogliere appieno le aree su cui investire, le attenzioni da prestare.
Il progetto individuale deve trovare elementi di sostenibilità e praticabilità nel tempo. Da qui l’esigenza di elaborare lo strumento del budget di progetto con il quale sostenere il percorso, in quanto concretizza le ipotesi di intervento chiarendo qual è il complesso di risorse necessarie e attivabili, in un’ottica di coprogettazione e corresponsabilità fra tutti gli attori coinvolti che hanno condiviso e fissato obiettivi, modalità, compatibilità, tempi e sostenibilità.
Il budget di progetto è dunque costituito da un insieme di risorse di provenienza diversa proporzionate tra Comune di residenza, Ambito distrettuale e persona/famiglia, e può essere integrato da ulteriori risorse di natura privata o pubblica (es. FNA Misura B2 e Misura B1, Reddito di Autonomia, risorse Fondo Dopo di Noi, ecc.). Tali risorse integrative, quando disponibili (come sappiamo possono cambiare criteri di utilizzo, importi, requisiti di accesso in base alle indicazioni nazionali o regionali), costituiscono un’opportunità che sostiene l’ente locale o la famiglia o permette un’integrazione dell’offerta di servizi. Un progetto prevede per sua natura tempi di sviluppo graduali che possono essere subordinati all’acquisizione di competenze/abilità e condizionati dalle risorse. Anche la capacità di so-stare nei processi, nell’attesa di strumenti, di accettare gli inciampi, l’acquisizione del senso del limite e dei vincoli fanno parte dell’esperienza di maturazione e autonomia. È importante però che i Servizi pubblici imparino a “passeggiare tra le norme” vedendone la relazione con l’obiettivo, sviluppando una capacità di integrazione programmatoria, attingendo quanto serve da ognuna per sostenere l’unitarietà di un progetto di vita. Almeno in attesa di un Fondo Unico che permetta maggiori flessibilità.
Per la costruzione del budget di progetto viene periodicamente aggiornato e sottoscritto un documento a livello Distrettuale che individua destinatari, tipologie di progetti e criteri di allocazione delle risorse. L’attuale versione[6] prevede dei budget di progetto a seconda delle tipologie di intervento. Gli importi a carico del pubblico sono stati individuati tenendo come riferimento la spesa solitamente sostenuta dall’ente pubblico per consentire la frequenza di un servizio diurno tradizionale.
Parole chiave, su questo tema, sono dunque: attenzione e cura progettuali, flessibilità e appropriatezza, un intenso lavoro di accompagnamento e di presidio costante.
Si intuisce che la gestione del budget di progetto sia complessa. Con quale cornice viene disciplinato?
La realizzazione dei progetti individualizzati richiede flessibilità e “agilità” non solo in termini progettuali e di valutazione multidimensionale, ma anche in termini amministrativi. È infatti complesso sul piano amministrativo gestire un progetto che si articola per esperienze diverse, con interlocutori diversi, cooperative, associazioni ma anche privati, un progetto che viene spesso rivisto in corso d’opera anche a breve termine, per essere adattato alle esigenze ed evoluzioni della persona. L’esperienza dell’Ambito di Lecco è facilitata dall’avere una Gestione Associata dei Servizi d’Ambito tramite la costituzione dell’Impresa Sociale Girasole, società mista fra Comuni e terzo settore. L’impresa consente una gestione dinamica dei rapporti amministrativi con i diversi interlocutori sulla base di quanto previsto nel progetto individuale. La coprogettazione con il terzo settore porta indiscutibilmente un apporto di idee, flessibilità e interazioni importanti sul piano ideativo e organizzativo.
Quali sono gli apprendimenti, in particolare sul piano del coinvolgimento delle persone, delle famiglie e degli enti del terzo settore?
La modalità di lavoro che cerchiamo di adottare per il progetto individuale investe sulla corresponsabilità. Chiede un cambiamento culturale che si discosta dall’approccio e dall’ansia prestazionale. Questo cambio di paradigma richiede il coinvolgimento non solo degli operatori, dei professionisti, ma anche dei diretti interessati e delle famiglie
Stiamo investendo molto sugli aspetti della corresponsabilità e della compartecipazione sia dal punto di vista progettuale e della valutazione multidimensionale partecipata (non solo multiprofessionale), sia sull’individuazione delle risorse organizzative, umane, ed economiche. Un progetto di vita si realizza dentro la comunità nella sua articolazione di servizi, professionalità, relazioni, reti. È un processo complesso e faticoso, ma ricco e vitale. Inserire una persona con disabilità in un servizio tradizionale è molto più semplice che lavorare su un progetto co-costruito, partecipato e costruito nel territorio che ha necessariamente bisogno di un presidio costante, un’attivazione e un’attenzione costante da parte di tutti. Il progetto è un abito su misura, per una singola persona, che cambia nel tempo, con le stagioni, con il clima. È fondamentale che tutti gli attori in gioco si assumano precisi impegni.
Nel documento che regolamenta il progetto individuale e il budget di progetto, prevediamo anche la possibilità di una forma di contributo alle realtà associative che assumono una funzione di supporto alla realizzazione degli interventi. Importi di piccola entità, simbolici, che valorizzano però l’assunzione di responsabilità e di impegno. Ad esempio, il circolo che si impegna a favorire l’accesso alle proprie opportunità serali a una persona che non ha autonomie di spostamento.
Ogni progetto richiede anche di individuare un referente che si prende cura della persona con disabilità, un caremanager. Spesso è un ruolo che inizialmente viene ricoperto da un operatore del SAI o dalle assistenti sociali dei comuni di residenza della persona, poi si valuta l’opportunità che possa essere svolto da un soggetto della rete che goda della fiducia di tutti e che possa garantire un punto di riferimento, rilettura e tenuta del processo, mantenendo una corresponsabilità e coinvolgimento di tutti coloro che si assumono un compito sottoscrivendo il progetto.
Stiamo vivendo un’esperienza interessante ma che riteniamo ancora in forte divenire. Camminando s’apre cammino, ed è importante che ogni territorio faccia proprie sperimentazioni partendo dagli elementi che lo caratterizzano. È importante che i progetti individuali, i progetti di vita orientino la programmazione e l’organizzazione dei servizi, il lavoro della scuola, le stesse famiglie che si devono spesso riposizionare. Tutti insieme dobbiamo lavorare per costruire precocemente condizioni che permettano alla persona con disabilità di affrontare le tappe di un cammino emancipativo, per liberarne energie, fare esperienza di sé, sviluppare pensieri sulla propria vita, per dare prospettiva alle famiglie. Dobbiamo però porre sempre l’attenzione a non far diventare i Progetti Individuali, i Progetti di Vita, una “nuova tipologia servizio”, attraverso l’introduzione di troppi vincoli e criteri formali, di standard gestionali perché sarebbe lo stravolgimento del senso proprio della loro ragion d’essere.
[1] Si veda il documento “Progetti individuali e sperimentazione del budget di progetto nell’area della salute mentale”, con riferimento all’Obiettivo del Piano di Zona 2018-2020 “Interventi e percorsi di integrazione socio-sanitaria nell’area della salute mentale ai sensi del vigente Protocollo fra Distretto di Lecco e ASST”, allegato al presente articolo.
[2] “Case di Comunità: una proposta per il territorio del Distretto di Lecco”, Tavolo Istituzionale per l’Integrazione Sociosanitaria – Distretto di Lecco, 24 novembre 2021.
[3]L’Impresa Sociale Girasole è una società mista a capitale pubblico–privato partecipata dall’Associazione dei Comuni soci, costituita da 27 Comuni dell’Ambito distrettuale di Lecco e da nove soggetti del privato sociale: cinque cooperative sociali, due consorzi e due associazioni di volontariato, https://impresasocialegirasole.org.
[4]Si veda il documento “Orientamenti territoriali nell’area dei Servizi e degli interventi rivolti alle persone con disabilità. Proposta sperimentale”, Conferenza dei Sindaci del Distretto di Lecco, settembre 2019, allegato al presente articolo.
[5] Si vedano le “Linee operative del Distretto di Lecco. Dopo aver abitato con noi”, in attuazione della DGR 3404/ 2020 Programma Operativo Regionale per la realizzazione degli interventi a favore di persone con disabilità grave – Dopo di noi – L. 112/2016, anni 2018/2019, 9 ottobre 2020.
[6] Si veda il documento “Progetti individuali e sperimentazione del budget di progetto”, con riferimento all’Obiettivo del Piano di Zona 2018-2020 “Consolidare gli interventi ai sensi dell’art. 14 L. 328/00 attraverso il progetto individuale della persona con disabilità con individuazione di budget di progetto”, allegato al presente articolo.